Moon il panda, la recensione

Tian è un adolescente distratto, eccessivamente introverso e poco stimolato da tutto ciò che lo circonda. Per certi aspetti è un po’ l’opposto di sua sorella Liya, diligente e virtuosa, con un ottimo rendimento scolastico e bravissima nella danza con il ventaglio. Quando la sera del suo compleanno porta a casa la pagella scolastica, Tian serve al padre l’ultima delusione: il ragazzo, infatti, è l’ultimo della sua classe e i suoi voti sono davvero imbarazzanti. Il genitore, che vorrebbe un figlio modello al pari della sorella, proibisce al ragazzo di passare le vacanze estive presso l’ambito campus dei videogames e obbliga il figlio a trasferirsi a casa della saggia nonna Nai Nai, una piccola baita immersa nelle foreste di bambù del Sichuan.
Arrivato a casa di sua nonna, Tian trascorre i primi momenti in balia della noia e con gli occhi incollati sulla console portatile di videogiochi. Quando però viene incaricato da Nai Nai di andare nel bosco adiacente la casa per cercare un po’ di legna da ardere, Tian fa l’incontro che lo cambia per sempre: tra gli alberi di bambù incontra un cucciolo di panda a cui dà subito il nome di Moon. Tra il ragazzo e il cucciolo scatta immediatamente una scintilla e così il giovane, non curante delle severe leggi a tutela della salvaguardia dei panda, decide di avvicinare il cucciolo e instaurare con lui il suo primo e vero rapporto di amicizia.
A un mese di distanza dalla Giornata Mondiale del Panda (il 16 marzo) e in tempo per il weekend pasquale che si spera porterà in sala intere famiglie, esce nei nostri cinema Moon il Panda, ovvero l’ultima fatica a carattere ecologista di Gilles de Maistre, filmmaker francese che dal 2018 sembra aver trovato nel cinema ambientalista la sua vocazione più profonda.
Quell’anno, infatti, Gilles de Maistre ha raccolto un buon successo di pubblico e critica con il suo Mia e il leone bianco, un racconto di formazione per ragazzi che ha saputo parlare di salvaguardia dell’ambiente, di crescita, amicizia e responsabilità focalizzando la propria attenzione su un legame davvero speciale tra un’adolescente ribelle e un cucciolo di leone nato appunto con il manto completamente bianco.
Tre anni dopo, dunque nel 2021, il regista ha provato a bissare il successo con Il Lupo e il Leone, un’altra incredibile storia d’amicizia pronta a legare nuovamente il regno umano con quello animale ma sposando, questa volta, un punto di vista leggermente più adulto. Ma si sa, non c’è due senza tre e così nel 2024 Gilles de Maistre ha presentato al pubblico la sua terza favola ambientalista, Emma e il giaguaro nero, un film non pienamente riuscito ma sempre determinato a veicolare importanti messaggi per la tutela del nostro ecosistema.
Con un’impronta registica ben precisa che coniuga il romanzo di formazione ad uno stile quasi documentaristico (per via dell’utilizzo e della valorizzazione di incantevoli scenari naturali e animali reali portati in scena senza l’ausilio di effetti speciali), Gilles de Maistre è andato a colmare un vuoto all’interno della filiera produttiva francese specializzandosi in un cinema che sembra nascere dalla lezione impartita da Jean-Jacques Annaud attraverso capolavori come L’orso (1988), Due fratelli (2004) e L’ultimo lupo (2015).
Ma se Annaud si è sempre mosso all’interno di un cinema fortemente autoriale, ambizioso e spesso audace, Gilles de Maistre ha preferito declinare il genere nella direzione del family movie, confezionando perciò opere meno pretenziose e sicuramente più fruibili da un pubblico molto giovane che deve essere (giustamente) sensibilizzato verso queste tematiche legate al rispetto e alla salvaguardia di tutte le specie animali, dell’ambiente e del pianeta in senso assai più ampio.
Con Moon il Panda Gilles de Maistre non si limita soltanto ad aggiungere un nuovo tassello a questo grande mosaico naturalista che sta componendo dal 2018, bensì compie un passo davvero importante che per certi aspetti potrebbe essere letto come l’ideale chiusura di un discorso che è sempre stato votato a sottolineare un concetto ben preciso: gli animali, di qualsiasi specie e qualunque razza, non sono solo delle comparse su questo mondo ma sono dei compagni di viaggio che condividono con noi (esseri umani) il pianeta e pertanto hanno il nostro stesso identico diritto alla vita.
Così dopo il leone, il lupo e il giaguaro nero, il regista mette in piedi un racconto di formazione che sceglie come protagonista il panda, ovvero l’animale che negli anni è stato eletto a simbolo indiscusso di tutte le specie a rischio d’estinzione ma anche della lotta per la conservazione dell’ambiente. Non a caso, infatti, è proprio il panda l’animale scelto dal WWF come simbolo d’eccellenza di tutta l’organizzazione internazionale non governativa.
Dunque, Moon il Panda non si limita ad essere il quarto capitolo di questa saga immaginaria firmata da Gilles de Maistre, bensì diventa il punto d’arrivo di un discorso nobile e importante volto a far capire alle nuove generazioni che tutelando gli animali e salvaguardando e rispettando i loro habitat, si può guarire la nostra anima e si possono persino ricucire quei legami tra esseri umani che sembravano altrimenti compromessi.
Data l’enorme attenzione che giustamente viene posta su questa specie animale a rischio e considerate le leggi super-stringenti che ne governano l’interazione, a differenza dei precedenti film del regista (che sono sempre stati caratterizzati da un utilizzo esclusivo di animali reali) in Moon il Panda è stato necessario ricorrere a qualche trucchetto cinematografico per poter dare corpo a tutta la narrazione e garantire, al tempo stesso, la tutela di questa specie assolutamente unica e delicata.
Non deve essere stato facile realizzare questo film, coniugare dunque lo stress che si porta inevitabilmente dietro l’apparato cinematografico con le ferree regole che preservano i panda, e infatti in moltissimi passaggi di Moon il Panda questa difficoltà si fa sentire, riesce ad essere quasi tangibile.
Il problema più grande del film, infatti, è il modo in cui la sceneggiatura (scritta da Prune de Maistre) si trasforma in racconto cinematografico. La narrazione di Moon il Panda è esageratamente povera e soffocata da un fiato che si rivela davvero tanto corto. Dopo pochi minuti di film, una volta avvenuto l’incontro tra Tian e Moon, il film di de Maistre inizia a girare su sé stesso in modo preoccupante, si fa ripetitivo e sembra aver esaurito qualsiasi argomento.
Sicuramente a causa delle difficoltà di cui si è parlato nella gestione di questi animali, in Moon il Panda viene meno quella componente avventurosa che caratterizzava gli altri film del regista e il tutto si limita a scene un po’ tutte simili tra loro in cui il ragazzo gioca con il panda e gli dà da mangiare. Ma ciò non basta per fare entertainment e dunque la sceneggiatura sente la necessità di allungare il brodo con sottotrame pretestuose (come il dramma improvviso legato alla sorella di Tian) o con momenti avventurosi del tutto fuori luogo, gestiti davvero male, quasi a testimonianza di una sceneggiatura che non è riuscita ad essere filmata per intero e dunque si è vista costretta a trovare soluzioni in corsa durante la fase di montaggio.
Dietro a questi enormi problemi di scrittura, che non risparmiano nemmeno pesanti cliché (la nonna saggia, il conflitto tra Tian e suo padre per via dei videogiochi che minano l’apprendimento scolastico), ciò che si lascia apprezzare in Moon il Panda è il tono del film. Questa volta, infatti, Gilles de Maistre mette saggiamente da parte quell’ironia infantile che aveva ostacolato la piena riuscita de Il Lupo e il Leone o di Emma e il giaguaro nero per abbracciare un mood più serio e delicato.
In definitiva Moon il Panda si rivela un film non all’altezza delle aspettative e ancora una volta Gilles de Maistre non riesce a far combaciare nel giusto modo la sua squisita vocazione documentaristica con un racconto cinematografico che possa essere davvero convincente su tutta la linea.
Probabilmente il film in questione avrebbe avuto bisogno di una gestazione produttiva più lunga ed attenta, una lavorazione più sottile affinché si potesse individuare un punto d’incontro più strutturato tra le esigenze della narrazione e le regole che permettono l’utilizzo dei panda sul set. A fine visione, infatti, si ha quasi la sensazione che Moon il Panda sia un film pensato, scritto e diretto con troppa fretta e superficialità.
Giuliano Giacomelli
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