Nosferatu, la recensione del nuovo horror di Robert Eggers

Tra i nomi più rappresentativi e autoriali dell’horror contemporaneo, nello specifico della corrente horror arthouse che qualcuno definisce con il termine pregiudizievole elevated horror, Robert Eggers divide pubblico e critica fin dal suo folgorante esordio nel 2015 con il bellissimo The Witch. Rappresentante di un neo-espressionismo antropologico, esteta incallito ed esploratore di un Male subdolo e perverso, Eggers è riuscito a creare uno stile molto personale che si lega tanto a temi quanto a una precisa visione estetica del cinema, tanto appezzata da molti quanto bistrattata da chi lo taccia di presunzione, freddezza e ripetitività. Nosferatu non fa eccezione alla regola e segna un ulteriore step nella coerente visione del cinema che Eggers sta esplorando: cura estetica maniacale, tempi dilatati, descrizione di un male primordiale e inesorabile, rielaborazione del cinema del passato attraverso i dettami della contemporaneità.
Una premessa d’obbligo perché se non gradite lo stile di Robert Eggers emerso in The Witch, The Lighthouse e The Northman, sicuramente Nosferatu non vi farà cambiare idea, anzi ribadisce quanto già mostrato e dimostrato nelle opere precedenti, rinforzando con convinzione la sua vis autoriale.
Siamo a Wisborg, Germania, nel 1838. L’agente immobiliare Thomas Hutter, novello sposo dell’affascinante Ellen, viene inviato dall’agenzia del Sig. Knock in una remota zona sui Carpazi per concludere un affare con il Conte Orlok, che ha acquistato una fatiscente palazzina proprio a Wisborg. Il viaggio di Thomas non è privo di difficoltà che si concretizzano tanto nell’impervio tragitto che dovrà condurlo al castello del Conte quanto all’ammonimento che gli viene dato dalla gente del posto sulla natura sinistra del suo cliente. E infatti, Orlok si presenta a Thomas con un fare autoritario e sgradevole, celando alla vista il suo aspetto intuibilmente deforme. Ma il soggiorno di Thomas nel castello di Orlok si tramuta presto in una vera e propria prigionia finché il Conte si dirige a Wisborg attirato più dalla presenza di Ellen che dall’affare immobiliare appena siglato, anche se le due ragioni appaiono da subito strettamente collegate.
Come noto, Nosferatu è Dracula, cioè, Friedrich Wilhelm Murnau stava trasponendo il Dracula di Bram Stoker quando realizzò nel 1922 il capolavoro immortale Nosferatu, eine Symphonie des Grauens, ma per un problema di diritti dovette modificare parte della storia e i nomi dei personaggi. E da quel momento, da quella prima trasposizione non ufficiale del romanzo di Stoker, Dracula e Orlok hanno viaggiato su binari paralleli confermando la loro sovrapponibilità, come nel celebre Nosferatu – Il principe della notte (1979) di Werner Herzog (dove vengono perfino “ripristinati” i nomi dei personaggi del romanzo), o l’alterità come accade nella nuova versione a firma di Robert Eggers.
Il regista di The Northman, infatti, fin dal prologo dichiara la volontà di non realizzare un remake ma una rilettura del tutto personale del film di Murnau, nonché una cosa completamente differente dal romanzo di Stoker. L’incipit, ambientato alcuni anni prima, ci presenta una Ellen adolescente non ancora legata dal vincolo di matrimonio con Thomas, preda dei primi istinti sessuali, ammaliata da un’entità che capiamo essere proprio un Nosferatu invisibile ma selvaggio e passionale.
Per la prima volta nel processo narrativo di Nosferatu viene introdotto l’erotismo esplicito descrivendo il vampiro come un predatore sessuale ma, allo stesso tempo, negando qualsiasi implicazione romantica, come invece raccontato in molte trasposizioni di Dracula. È la stessa lussuriosa scoperta della sessualità di Ellen a risvegliare l’entità demoniaca che possiede il Conte Orlok, facendo della ragazza il vero deus ex machina di tutta la vicenda, causa ed effetto della diffusione del Male.
Ma attenzione! Robert Eggers, con una certa accortezza di fondo, non inciampa in nessuna forma di retorica e promuovendo Ellen a protagonista non abbraccia neanche lontanamente alcuna modaiola riflessione femminista sul tema né, tantomeno, va ad impantanarsi in letture freudiane sulla scoperta della sessualità. Piuttosto, troviamo una enorme coerenza tematica con The Witch per quanto riguarda la figura di Ellen, che appare speculare a quella della Thomasin di Anya Taylor-Joy: in entrambi i casi viene descritta una ragazza vittima della repressione sociale del suo tempo che si apre al soprannaturale come forma di protesta intrinseca a un ambiente castrante. Non c’è una volontà manifesta di opporsi alle convenzioni sociali, ma più una ricerca interiore del proibito che trova accoglienza in un Male antico e subdolo che ha la facoltà di liberare il desiderio represso delle due giovani. In Nosferatu, quel desiderio è apertamente legato al sesso e il vampiro è la manifestazione della curiosità di una ragazzina, una curiosità che altrimenti era probabilmente destinata a rimanere una fantasia e che invece si concretizza scontrandosi proprio con quella società repressiva e oscurantista.
Per una importante metà, poi, Eggers ripercorre la storia nota di Nosferatu, con la missione e il viaggio di Thomas Hutter, l’incontro con il Conte e la prigionia, mentre il vampiro viaggia in mare verso la sua meta.
In questo blocco narrativo, comunque, troviamo importanti libertà dell’autore che si addentra anche in un rituale gitano di liberazione della piaga vampirica, a base di dissotterramenti, impalamenti e perfino vergini nude a cavallo. Una digressione folk-horror utile a creare un legame ancora più saldo con l’esodio di The Witch. Ma in questa prima parte c’è ance spazio per l’approfondimento del Sig. Knock, epigono dello stokeriano Renfield, in una luce esoterica che ritroveremo più in là anche nel personaggio di Albin Eberhart von Franz, re-nominazione citazionista (Albin Grau era lo scenografo, costumista e co-produttore del film originale; Marie-Louise von Franz è stata una psicologa e alchimista) del Dott. Bulwer di Murnau. Ma soprattutto Eggers compie un lavoro di grande finezza e credibilità nel primo incontro tra Thomas Hutter e il Conte Orlok: l’impianto fotografico e scenografico del castello del Conte aiuta a celare l’aspetto del mostro con un gioco di ombre magistrale che arriva direttamente da una rielaborazione della lezione espressionista e il disagio mostrato da Thomas di fronte ad Orlok è palpabile e si trasforma, col passare dei minuti, in autentico e realistico terrore.
Qui entra in gioco una caratterizzazione, fisica e caratteriale, del Conte vampiro del tutto inedita.
Eggers ha chiamato in causa il poliedrico Bill Skarsgård per dare corpo e voce a Orlok/Nosferatu, il processo di trasformazione dell’attore in mostro è impressionante (ma il giovane Skarsgård aveva già dato prova in IT di Muschietti) e la sua fisionomia si annulla completamente in un processo di irriconoscibilità totale, a cui contribuisce anche un lavoro notevole sulla voce. Orlok parla un antico dialetto della Dacia che si trasforma in un grottesco inglese dall’accento baltico nei moment in cui interagisce con Hutter, ma il tono della voce è cavernoso, realmente inquietante, e misto a un rantolo che ne sottolinea problemi respiratori. Nel look, invece, viene coraggiosamente meno l’iconico trucco sfoggiato da Max Schreck nel film del 1922, in parte riproposto su Klaus Kinski nel film del 1979. L’Orlok di Skarsgård è alto ed asciutto, sfoggia un imprevedibile paio di baffi (palese il richiamo all’iconografia storica di Vlad Tepes III) e alle caratteristiche dita lunghe e unghiute accompagna elementi di putrefazione in tutto il corpo. Inoltre, si pone con fare autoritario e sicuro di sé, è un nobile e in quanto tale è abituato a tenere sotto scacco la plebe e a raggiungere con successo ogni suo obiettivo.
Per sottolineare il fare antropologico già mostrato con l’innesto folk-horror, Eggers racconta il suo Nosferatu anche da un punto di vista folkloristico rendendolo una summa di alcune creature della mitologia esteuropea: Orlok è uno strigoi, una creatura del folklore rumeno, e come tale ha un passato da essere vivente dedito alle arti magiche, uno stregone che ha stretto il patto col diavolo ottenendo l’immortalità ma anche la condanna a nutrirsi di sangue. Ma Orlok è anche una mora, un’entità demoniaca dei paesi slavi capace di assumere diverse forme, ghiotta di sangue che estrae direttamente dal petto delle vittime durante il sonno; ma è anche un lampir, un vampiro bosniaco portatore di pestilenza. Il Nosferatu di Eggers è dunque un compendio del vampiro del folklore, un’ideale entità malefica generica che trova incarnazione in quell’aristocrazia decadente e decaduta ma aggrappata al proprio titolo e alla pratica metaforica (qui letterale) di dissanguare il popolo, irretendolo in una morsa di terrore.
Interessante notare, poi, come nei suoi tre film horror, Eggers descriva un’umanità maledetta, debole al fascino di un Male intangibile e corruttore che non lascia scampo: il rapporto che si viene a creare tra umano e soprannaturale è molto vicino all’idea che Howard Phillip Lovecraft aveva della connessione tra questi due mondi e in Nosferatu Orlok, che appartiene probabilmente all’ordine dei solomonari, ci appare come un’ideale punto di fusione tra l’arabo pazzo Abdul Alhazred e il Wilbur Whateley de L’orrore di Dunwitch, ma posseduto da un’entità cosmica come M’Nagalah.
Quel che accade nella seconda metà del film è scritto da Eggers praticamente da zero e mette Ellen Hutter al centro dell’azione, facendola diventare preda e predatrice, vittima e carnefice, con inedite aperture all’occultismo e alle dinamiche della possessione demoniaca. A interpretare Ellen è una magnifica Lily-Rose Depp in quello che potrebbe essere considerato il ruolo della vita di molte attrici, una donna tormentata e ambigua, causa di ogni male ma anche unica arma contro quello stesso male. Con la sua interpretazione intensa, il fascino efebico, scatti di isterico disgusto e l’erotismo che traspare dal suo ruolo, la Ellen della Depp è il personaggio che più rimane dell’intero film, anche più del terrorizzato ma determinato Thomas del sempre bravo Nicholas Hoult, dell’eccessivo ma pertinente von Franz di Willem Dafoe e sicuramente più del poco convincente Hardings di Aaron Taylor-Johnson.
Come detto in apertura, l’aspetto estetico di questo film è davvero impressionante e a lasciare indelebilmente il segno è la stupenda fotografia di Jarin Blaschke, già coinvolto da Eggers su tutti i suoi film precedenti, qui alle prese con tonalità tenui, funeree, luce naturale o di candela e un utilizzo delle ombre che richiama Murnau senza mai volerlo emulare. Potenti anche le musiche di Robin Carolan e tutto quello che concerne la ricostruzione storica, dalle scenografie ai costumi, felicemente contenuta e perfettamente asservita alla causa.
Sicuramente i 132 minuti di durata non sono tutti indispensabili e qualche lungaggine, soprattutto nella seconda parte, è ravvisabile, ma Nosferatu di Robert Eggers è comunque un’opera importante e necessaria, sicuramente il racconto di vampiri più inquietante e perturbante che si sia visto negli ultimi anni e una conferma del talento del suo autore.
Ai detrattori dell’Eggers-style questo film sarà particolarmente indigesto, ma se sapete apprezzare quel tocco rarefatto, quei ritmi lenti e implacabili, e quella voglia di rivedere l’archetipo con la sensibilità contemporanea, Nosferatu fa sicuramente al caso vostro.
Nosferatu arriverà nei cinema italiani il 1° gennaio 2025 con anteprime il 31 dicembre in alcuni cinema selezionati.
Roberto Giacomelli
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