Oceania 2, la recensione
Da quando Vaiana ha riconsegnato il cuore a Te Fiti, ponendo fine allo spirito rabbioso e distruttore di Te Kā, in quella distesa meravigliosa d’acqua che si estende oltre il rift sembra essere tornata un’apparente situazione di pace. Sulla piccola isola polinesiana di Motunui, ormai, Vaiana è diventata una vera e propria leader e le sue gesta – unite a quelle del semidio Maui – vengono cantate ai più piccoli per far sì che le radici culturali possano non essere più dimenticate. Dopo aver restituito al suo popolo il coraggio necessario per intraprendere nuove navigazioni in mare aperto, Vaiana e gli altri abitanti di Motunui hanno iniziato a salpare l’oceano per scoprire cosa si cela proprio al di là del rift.
Quando una sera, durante un rito tribale, Vaiana riceve un inaspettato richiamo dallo spirito di Tautai Vasa, un suo antenato responsabile delle prime grandi scoperte in mare del suo popolo, la giovane leader capisce che la sua missione non è ancora finita: adesso deve avventurarsi per un altro pericoloso viaggio oltre i confini del rift per continuare le scoperte nautiche di Tautai Vasa.
Accompagnata adesso da un equipaggio di improbabili navigatori, Vaiana salpa alla volta dell’oceano sconfinato per trovare nuove popolazioni e costruire una vera e propria rete umana di viaggi in mare. Ma in questa nuova avventura dovrà affrontare il perfido Nalo, una divinità che teme l’unione degli esseri umani e quindi, esercitando violenti fenomeni atmosferici, si assicura di tenere ben separate le isole della Polinesia. Per sconfiggere Nalo, Vaiana ha la necessità di ritrovare Maui e farlo unire al suo equipaggio.
Quando a Natale 2016 uscì in sala Oceania, non sappiamo quanto la Disney fosse davvero consapevole che stava per consegnare al mondo l’ultimo vero grande classico (fino ad ora, tranquilli!) partorito dalla Casa di Topolino. Insieme a Frozen – Il regno di ghiaccio (2013), infatti, Oceania rappresenta il colpo di coda di uno Studio che ha saputo fare tanto, tantissimo per il mondo dell’animazione e che per oltre otto decenni ha creato splendidi immaginari e mondi che hanno animato e stimolato la fantasia di intere generazioni di bambini e poi adulti.
Per chi scrive – sia chiaro! – Oceania rappresenta ad oggi il canto del cigno di Casa Disney, un autentico capolavoro cinematografico che, ancor prima d’essere un bellissimo ed emozionante film d’animazione, riesce ad essere cinema d’avventura di altissimo livello. Un film meraviglioso che ha condotto lo Studio ad abbracciare una perfezione visiva ad oggi imbattuta (il realismo nell’animazione dell’acqua, dei capelli, o il modo in cui l’animazione 2D dialoga con quella 3D) e che è riuscito a rendere mainstream l’immaginario culturale polinesiano, la mitologia hawaiana e tutti quei racconti folcloristici – che riguardano divinità e creature feroci – che vengono da secoli tramandati oralmente dai popoli che vivono nelle isole del Pacifico.
Dopo aver incantato pubblico e critica con Oceania, film diventato presto iconico anche e soprattutto per merito del personaggio Maui, semidio del vento e del mare a cui ha prestato la voce Dwayne Johnson (restituendo una delle sue interpretazioni più riuscite e apprezzate), la Disney ha abbracciato improvvisamente un preoccupante stallo creativo reso tale da una serie di progetti molto poco ispirati (Raya e l’ultimo drago, Encanto, Strange World – Un mondo misterioso, Wish) o che si sono adagiati sulla forza trainante del sequel (Ralph spacca internet, Frozen 2 – Il segreto di Arendelle). Insomma, una situazione ben distante da quella che dovrebbe portare alla nascita di altri autentici classici capaci di sopravvivere nel tempo o di nutrire nuovi immaginari.
Oceania 2, in quanto sequel, non è quel progetto che mira a fare eccezione e quindi porta avanti questa volontà dello Studio di navigare in acque sicure e sfruttare la forza di un franchise che, diciamocelo, si vende da solo.
La genesi di Oceania 2 è a dir poco anomala ed evidenzia, come se ce ne fosse ancora bisogno, l’enorme confusione e smarrimento editoriale in cui è sprofondata la Disney dopo l’avvento delle piattaforme on demand (Disney+, in questo caso).
Non staremo qui, adesso, a fare una disamina su quanto il fenomeno dello streaming abbia contribuito ad affossare artisticamente lo Studio in questi ultimi anni ma può farci riflettere il fatto che, nel 2020, quando si era ancora fermamente convinti che tutto potesse essere serializzabile e che il nuovo cinema passava attraverso il piccolo schermo, Jennifer Lee, direttrice creativa dei Walt Disney Animation Studios, aveva annunciato che il sequel di Oceania sarebbe stata una serie tv mirata a riempire la programmazione di Disney+. Una scelta assolutamente scriteriata che si sarebbe tradotta in un importante autogoal e che, fortunatamente, è stata rivista quando, ad inizio 2024, il CEO Bob Iger ha annunciato il cambio di rotta dichiarando che il progetto era stato ripensato in virtù di un lungometraggio con destinazione cinematografica. Castrare il meraviglioso mondo visivo di Oceania imprigionandolo solo nel piccolo schermo, sarebbe stato davvero un delitto nei confronti del Cinema.
Con la regia del film che passa nelle mani di Dave G. Derrick Jr., Jason Hand e Dana Ledoux Miller (tutti e tre al loro debutto cinematografico), Oceania 2 si presenta ufficialmente al pubblico come 63° Classico Disney, ma anche come un sequel che ce la mette davvero tutta per poter stare dietro alla forza dirompente del primo capitolo. E, in parte, ci riesce pure.
L’operazione svolta con Oceania 2 ricorda molto da vicino ciò che la Pixar ha fatto sempre quest’anno con Inside Out 2, ovvero un sequel così consapevole delle sue potenzialità che prova ad espandere il proprio mondo e a portare avanti la narrazione pur restando fortemente ancorato alla meccanica narrativa e strutturale del film originale. Questo significa che Oceania 2 è un sequel diretto al primo che porta avanti il racconto in modo assolutamente naturale e coerente, quasi come fosse un tutt’uno con il film del 2016.
Dunque, Vaiana è cresciuta, ha persino una sorellina che la adora, e quindi non è più quella ragazzina ribelle e disobbediente che si oppone ad ereditare – in quanto figlia del capo – lo status di leader solo perché le spetterebbe di diritto. Adesso che ha dimostrato le sue capacità, ha sfidato pericolose divinità e ha restituito al suo popolo l’orgoglio e la memoria di essere navigatori, viene riconosciuta da tutto il popolo di Motunui come un leader che si è guadagnata quel rispetto e dunque merita di poter guidare l’intera comunità. Vaiana sa che ancora deve fare tanto per il suo popolo, ancora non ha terminato la sua missione, e dunque è una leader attiva che non vuole limitarsi – come suo padre e i precedenti capi prima di lui – a proteggere Motunui, lei desidera ardentemente nuove scoperte ma soprattutto mettere in comunicazione tra loro tutti i popoli delle isole polinesiane.
Proprio alla luce di tutto questo, il personaggio di Vaiana continua a portare avanti in modo coerente e maturo tutte quelle peculiarità che l’avevano contraddistinta già nel 2016. Vaiana Waialiki è una leader moderna, proiettata verso il futuro, e senza ombra di dubbio è il personaggio che più di ogni altro porta a compimento in modo maturo e onesto questo discorso femminista che la Disney sembra essere interessata a perseguire ormai da anni. Si, perché Vaiana è davvero un’eroina che non ha nulla da invidiare a molti iconici personaggi maschili (sia partoriti dallo Studio che dall’industria hollywoodiana in senso più ampio). Vaiana è un personaggio che, sin dal primo film, rifiuta consapevolmente tutti quei cliché che attanagliano da sempre il mondo delle principesse. Però, al tempo stesso, è un personaggio completo e compiuto, tridimensionale, che non ha bisogno di nessun processo di mascolinizzazione per poter adempiere al ruolo di eroina e avventuriera. E nemmeno necessita di essere ricalcato su alcun modello maschile preesistente. Vaiana è un personaggio che si fa forte della sua estrema femminilità, l’abbraccia a piene mani e non la rinnega mai, eppure sa farsi motore trainante di avventure mozzafiato degne del miglior cinema d’avventura. Un personaggio, dunque, che senza alcuno sforzo o forzatura è riuscito ad unire il pubblico femminile e quello maschile, i piccoli ma anche i grandi.
Se tutto è rimasto così coerente con il film precedente, sia nella narrazione che nello spessore dei personaggi principali, cos’è che ostacola questo Oceania 2 e che non gli permette di essere perfettamente all’altezza del capitolo precedente?
Come si accennava qualche riga sopra, Oceania 2 ricorda molto da vicino l’operazione condotta con Inside Out 2, ovvero è un film che prosegue, aggiunge ma, essenzialmente, imita in tutto e per tutto il suo predecessore. Sebbene la narrazione sia molto più aperta, con tanti più personaggi e una storia più ricca di accadimenti, tutta la sceneggiatura di Oceania 2 sembra essere stata costruita per filo e per segno su quella del film del 2016. E dunque le tappe del viaggio sono pressoché le stesse e molte di queste avventure – compreso lo scontro finale con il temutissimo Nalo – rievocano tremendamente quelle già viste nel primo film. Con l’unica differenza che qui c’è un trasporto emotivo decisamente ridotto per moltissime ragioni, tra cui il mancato effetto novità.
Ma forse il più grande problema di Oceania 2 – e questo potrebbe essere figlio di quella scriteriata idea di partenza che lo prevedeva come una serie tv – è quello di avere al suo interno paradossalmente troppi elementi, in modo specifico troppi personaggi secondari nuovi. Se Vaiana e Maui sono due protagonisti che si distinguono per una bontà di scrittura piuttosto rara, purtroppo non possiamo dire lo stesso per tutti i personaggi secondari che popolano questo sequel. Che sono tanti, hanno poco spazio per emergere e dunque rincorrono i cliché per potersi imprimere nel ricordo dello spettatore. Ci riferiamo in modo specifico a tutto l’equipaggio di Vaiana che, oltre lei e i due simpatici animaletti HeiHei (lo stupido gallo) e Pua (il maialino vietnamita), comprende l’architetta Loto, lo storico Moni e l’anziano coltivatore Kele. Tre personaggi potenzialmente importanti, essendo Oceania 2 un film che parla di unione e collaborazione tra persone/popoli, ma che purtroppo risultano solo uno sterile riempitivo utile a rendere meno compatto lo spirito dell’avventura. E non si sottraggono a questa sorte nemmeno i due villain del racconto. Se da una parte, infatti, abbiamo Nolo che resta quasi un nemico astratto e impersonale (se non fosse per quella scena post credit e dal sapore marvelliano), dall’altra parte c’è Matangi (doppiata in italiano da Giorgia e che dunque diviene la controparte di Tamatoa, doppiato nel 2016 da Raphael Gualazzi), un secondo antagonista legato perlopiù a Maui ma che si introduce in questo racconto in modo decisamente forzato e poco utile alla narrazione.
Altro punto su cui è doveroso soffermarsi è l’aspetto sonoro del film.
A parere di chi scrive, infatti, il primo Oceania riusciva a raggiungere un livello canoro elevatissimo con almeno tre brani musicali (How Far I’ll Go / You’re Welcome / Shiny) capaci di imprimersi nella memoria subito dopo la primissima visione. In Oceania 2 la colonna sonora è curata ancora una volta da Mark Mancina e Opetaia Foa’i ma, purtroppo, non riesce a bissare quella freschezza e quella musicalità che ci aveva fatto amare molte sequenze del primo film.
In attesa delle nuove derive del franchise (tra cui un remake live-action interpretato dallo stesso Dwayne Johnson e un urlato terzo capitolo di cui, però, non c’è ancora nessuna certezza), possiamo affermare che Oceania 2 è un sequel molto dignitoso e che guarda al primo film con estremo rispetto e devozione ma che, come era facilmente prevedibile, non riesce a restituire un altro spettacolo ugualmente emozionante, avvincente ed epico. Resta però un ottimo esempio di intrattenimento nonché il miglior Classico Disney arrivato dopo il primo Oceania.
Giuliano Giacomelli
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