Socialmente Pericolosi, la recensione

Raccontare la camorra al cinema in maniera originale e innovativa è diventata un’impresa ardua dal momento che, a partire dal Gomorra di Matteo Garrone, i boss della malavita napoletana hanno invaso sia il grande che il piccolo schermo. A provare a dare una ventata di novità è Fabio Venditti il quale, dopo una lunga carriera da giornalista e autore di reportage per la Rai e altre testate, si cimenta con il lungometraggio Socialmente pericolosi, che racconta la storia vera della fraterna amicizia tra un giornalista e un potente boss della camorra. Un’operazione decisamente mal riuscita poiché il film non prende mai una direzione ben precisa, rimanendo a metà tra un film di finzione e un documentario, cosa che lo rende poco appassionante e piuttosto forzato in alcune scelte narrative.

Fabio Valente si reca al carcere di Sulmona per realizzare un reportage sulla vita dei detenuti. Qui conosce Mario Spadoni, potente boss della camorra che, negli anni Ottanta, ha combattuto una terrificante guerra tra clan che seminò centinaia di morti tra le strade di Napoli. Dopo la prima intervista, tra i due nasce una forte amicizia che si rafforza quando una malattia colpisce il malavitoso e Fabio si attiva per aiutarlo. Sullo sfondo ci sono i ragazzi dei quartieri spagnoli, protagonisti dell’associazione Socialmente pericolosi, fondata dallo stesso giornalista.

L’intento di Venditti è chiaro fin dalla lettura della trama: raccontare la vita di un boss non dal punto di vista degli affari criminali, bensì da quello umano, e del rapporto con il mondo estraneo a quello cui era abituato. Buone intenzioni che tuttavia vanno a cozzare subito con la scelta degli attori, Vinicio Marchioni (il Freddo di Romanzo criminale) e Fortunato Cerlino il quale non fa altro che ripetere per sommi capi movenze e atteggiamenti di Don Pietro Savastano: il personaggio della serie tv Gomorra che lo ha reso famoso al grande pubblico.

Al di là di questi difetti superficiali e di forma, poi, Socialmente pericolosi ha il grande difetto di non scegliere mai un timbro specifico – né dal punto vista narrativo né stilistico – e la scelta di inserire la vicenda parallela dei ragazzi dei quartieri spagnoli non fa altro che aumentare la sensazione di spaesamento. Una confusione che non permette di affezionarsi a nessun personaggio e di suscitare alcun tipo di sentimento. Tutto rimane fin troppo freddo e distaccato e, di certo, non aiuta una sceneggiatura che presenta molti punti lasciati in sospeso e alcuni personaggi il cui inserimento non ha un obiettivo ben preciso. Esempio lampante è quello di Viola, il cui burrascoso rapporto con il padre giornalista non viene approfondito e, anzi, si risolve in maniera veloce e sempliciotta.

Socialmente pericolosi, in conclusione, è un prodotto dall’evidente stampo televisivo che può essere adeguato come reportage giornalistico, ma che ha ben poco di cinematografico e ha il retrogusto amaro di occasione mancata.

Vincenzo De Divitiis

PRO CONTRO
  • L’intento del regista di raccontare la camorra da un punto di vista diverso dal solito.
  • Il film rimane in bilico tra finzione e documentario, senza scegliere un’identità precisa.
  • Fortunato Cerlino resta intrappolato nel personaggio di Don Pietro.
  • La storia non emoziona e non coinvolge lo spettatore.
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Valutazione: 5.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Socialmente Pericolosi, la recensione, 5.0 out of 10 based on 1 rating

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