Speak No Evil – Non parlare con gli sconosciuti, la recensione del remake
“Perché ci avete fatto questo?”, chiedeva il remissivo Bjørn nel terrificante e annichilente finale di Speak No Evil. “Perché ce l’avete permesso”, rispondeva un glaciale e spietato Patrick, andando a riassumere con un semplice scambio di battute la filosofia del male che stava alla base dello shockante film di Christian Tafdrup del 2022. Ora, a distanza di soli due anni dal cult di nazionalità danese, arriva un remake a stelle e strisce prodotto da Blumhouse e diretto dall’inglese James Watkins, già autore dell’ottimo Eden Lake e del meno esaltante The Woman in Black.
E quel male, così puro, perfino banale nella sua lineare semplicità, che muoveva le azioni della coppia olandese inibendo in maniera quasi innaturale la coppia danese, trova nel remake di Watkins una riformulazione basilare che porta il film ad assumere un senso profondamente differente in confronto al capostipite, tramutandosi in un do ut des tanto crudo e repellente quando svuotato di qualsiasi significato filosofico o psicoanalitico.
Gli americani Louise e Ben Dalton, durante una vacanza in Italia, fanno amicizia con gli inglesi Paddy e Ciara lasciandosi con la promessa che i primi sarebbero andati a trovare i secondi nella loro villa nella campagna alle porte di Londra. I Dalton accettano e con la piccola Agnes al seguito si recano per qualche giorno dagli amici. Ma fin dai primi momenti passati insieme, i Dalton si rendono conto che qualcosa non va in quella casa: Paddy è spesso sconveniente, Ciara sembra essere succube del marito e il loro piccolo Ant – che a causa di una malformazione congenita alla lingua non può parlare – appare costantemente impaurito. Quando la situazione precipita sempre di più, i Dalton decidono di andare via, ma non sarà così semplice come può apparire…
Guardando chiaramente proprio al suo film più riuscito, Eden Lake, James Watkins dona al suo Speak No Evil – di cui è anche sceneggiatore – un senso differente in confronto all’originale. Per due terzi della sua durata, Speak No Evil – Non parlare con gli sconosciuti (come recita l’inutile sottotitolo dato dalla distribuzione italiana) ripercorre fedelmente lo script di Christian e Mads Tafdrup, lavorando di fino solo sull’adattare il cambio di nazionalità dei personaggi e costruendo un background più stratificato attorno alla coppia americana che, come spesso accade, si trova in un momento di profonda crisi. È sull’ultimo atto che Speak No Evil 2024 cambia drasticamente strada, con scelte inedite, mutamento di focus e un netto ampliamento della narrazione che porta il film ad avere un epilogo molto più lungo ed elaborato, soprattutto nell’azione.
Le scelte fatte per il remake hanno un senso ben preciso, vanno incontro a quanti hanno lamentato poca credibilità nel film danese senza comprenderne il senso, senza leggere tra le righe. Speak No Evil – Non parlare con gli sconosciuti, va quindi a lavorare su una spettacolarizzazione e una leggibilità molto più tradizionale assecondando lo spettatore, a tratti imboccandolo, e offrendogli quella standardizzazione da Grand Guignol che non era difficile aspettarsi.
Preso a sé, ignari che esita uno Speak No Evil 2022, il film della Blumhouse è un tesissimo e violento thriller di sopravvivenza che strizza l’occhio al cinema americano post-torture porn, ma con sprazzi di satira sociale che sembrano richiamare il capolavoro di Sam Pekinpah Cane di paglia. Ma se si è consci che c’è un pregresso, che Watkins adatta culturalmente un film importante e con una sua fortissima personalità, ci si rende conto che Speak No Evil 2024 è un prodotto destinato a non rimanere perché tende a semplificare, banalizzare, apparendo troppo simile ad altri prodotti affini.
Una enorme lancia va spezzata a favore al cast di Speak No Evil – Non parlare con gli sconosciuti, in particolare a James McAvoy che ci mette anima e corpo nell’interpretare lo psicopatico Paddy tanto da ricordare una delle sue performance migliori del passato, quella in Split. Un villain che si muove costantemente tra gli spettri della schizofrenia apparendo amichevole e goliardico un attimo prima di sbottare in eccessi di violenza brutale. Il suo perfetto contraltare è il remissivo Ben interpretato da Scott McNairy (True Detective 3, Narcos: Mexico), elemento debole della coppia di cui la Louise di Mackenzie Davis (Terminator: Destino oscuro) è invece il vero fondamento. Ed è proprio sull’inversione dei ruoli di genere che si gioca all’interno della famiglia Dalton, facendo di questo elemento uno dei nuovi cardini all’interno dell’adattamento di Watkins. Convince molto anche l’irlandese Aisling Franciosi, che interpreta Ciara, moglie di Paddy, e che abbiamo già visto in Demeter – Il risveglio di Dracula e come protagonista di The Nightingale di Jennifer Kent.
A conti fatti, con Speak No Evil – Non parlare con gli sconosciuti ci troviamo di fronte a un remake che non è mosso da alcuna necessità perché incapace di incarnare una vera esigenza di adattamento culturale. Di per sé è un buon thriller, ritmato, ben recitato e con quelle punte di ferocia che faranno la felicità del pubblico di riferimento, ma allo stesso tempo svuota il testo originale di qualsiasi significato profondo standardizzandolo per un pubblico di massa.
Quindi, se volete un nostro consiglio, recuperate in primis il film del 2022 – se non l’avete ancora visto – e tenetevelo stretto, il suo adattamento americano è utile a un esercizio di puro completismo.
Roberto Giacomelli
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