Strange Darling, la recensione
Mentre scorrono le note di Love Hurts, nella cover di Z. Berg e Keith Carradine, seguiamo la fuga disperata di una ragazza dalle grinfie di un uomo armato di fucile. Lei è spaventata, ferita, con il volto impiastricciato di sangue, il trucco sciolto dalle lacrime e dal sudore, che cerca riparo in un bosco adiacente a una strada di campagna. È il folgorante inizio di Strange Darling, opera seconda di JT Mollner, che segue appunto il drammaticissimo tentativo di sopravvivenza di una donna in quello che possiamo considerare il più classico meccanismo del gatto che dà la caccia al topo. Lei è la final girl dei film horror, è un archetipo e in quanto tale non ha un nome ma una indicazione generica, the Lady. Così come lui, l’inseguitore, l’uomo violento che imbraccia un fucile a pompa, è identificato come the Demon, il mostro predatore, simbolo del maschio tossico, delle derive del patriarcato, un’entità astratta di forte connotazione negativa e violenta che ha il solo scopo di plagiare e distruggere l’innocenza.
Ma attenzione! Come ci avvisa un cartello in apertura film, Strange Darling è un thriller in 6 capitoli e quello con cui la storia ci viene presentata è il capitolo 4.
Quindi, come siamo arrivati a quella situazione? Perché the Demon vuole uccidere the Lady? La storia a cui stiamo assistendo è legata alle gesta (reali?) del serial killer di cui ci ha informati un ulteriore cartello rosso in testa alla proiezione, con evidente richiamo a quello di Non aprite quella porta di Tobe Hooper?
La narrazione non lineare di Strange Darling, che salta di capitolo in capitolo senza una continuità cronologica, è utile a giocare con le aspettative dello spettatore perché rivela in maniera strategica informazioni che una successione lineare degli eventi avrebbe palesato troppo in fretta. Di base, infatti, Strange Darling è un film dal plot semplicissimo, quasi basilare, che trova la sua originalità e imprevedibilità proprio grazie alla frammentazione del tempo, alla decostruzione della narrazione cronologica. E allora quello scritto e diretto da JT Mollner diventa un gioco con lo spettatore, chiamato a riformulare di continuo le proprie certezze, a rivalutare i bias, a ridisegnare gli archetipi, fino a trovare una versione del tutto inedita di qualsiasi storia similare.
Strange Darling risulta, quindi, un film dalla fortissima personalità che trova in questa sua particolare struttura una ragione per tenere altissima l’attenzione, con un ritmo indiavolato che succhia dal montaggio non lineare la sua linfa vitale. Ma è anche un film incredibilmente colto e complesso, un film che condensa in appena 95 minuti una visione di cinema molto ampia che va dai classici in Technicolor degli anni ’50 fino all’underground più selvaggio del cinema USA anni ’70, passando per la rarefazione di certo cinema europeo d’autore degli anni ’60, come Bergman e Polanski, fino al cinema più pop e sperimentale degli anni ’80. JT Mollner, che aveva già esordito nel 2016 con il western Outlaws and Angels, costruisce Strange Darling sulle sue passioni cinematografiche portando lo spettatore in un vero e proprio viaggio nel Cinema della seconda metà del ‘900, ma allo stesso tempo dà vita a un thriller unico nel suo genere che non è mai banalmente citazionista ma costruttivista.
E quella voglia di attingere al vissuto per creare qualcosa di nuovo si manifesta anche nella scelta di girare il film in pellicola 35 mm, un processo ormai inusuale al cinema, rarissimo nel settore indipendente (Strange Darling è costato meno di 5 milioni di dollari e Mollner ha dovuto combattere con Miramax per far valere le sue scelte), che conferisce all’opera un fascino vintage ma anche la possibilità di offrire un’immagine densa, corposa, con colori saturi, vividi. Curiosamente, a firmare la fotografia di Strange Darling è Giovanni Ribisi, noto come attore (Salvate il soldato Ryan, Avatar, Ted) e qui alla sua prima esperienza da DOP, che cattura i colori primari portandoli all’estremo, fino a riempire completamente l’immagine. Se il rosso e le sue tonalità sono il cuore di Strange Darling, anche il blu trova una funzione precisa in alcuni momenti e il giallo ne cattura altri, riscrivendone l’atmosfera.
C’è un lavoro tecnico dietro Strange Darling impressionante, che riesce a balzare all’occhio anche dello spettatore più distratto o meno esperto, dichiarando palesemente che quello che si sta guardando non è un film come un altro.
Ma quello di JT Mollner non è solo un esercizio di stile perché c’è un’intelligenza nella scrittura che ci porta anche in territori molto audaci, soprattutto per i tempi che viviamo, in cui la costruzione dei ruoli si basa proprio sulle convenzioni sociali, su una certa narrazione che etichetta la funzione in base al sesso.
A contribuire tantissimo alla riuscita di Strange Darling ci sono anche gli attori coinvolti che, se escludiamo piccoli ruoli di contorno (c’è anche Barbara Hershey), si riducono a due: Kyle Galner e Willa Fitzgerald. Lui è da sempre vicino al cinema horror con ruoli ormai storici in Jennifer’s Body, Nightmare, Scream e Smile; lei al cinema si è vista pochissimo fino ad ora, ma in tv ha collezionato ruoli di culto nella serie Scream, Reacher e La caduta della casa degli Usher. Ed è proprio Willa Fitzgerald a restituire una prova magnifica e molto sentita per un ruolo affatto facile che richiedeva un grande trasporto, psicologico e fisico.
Apprezzatissimo dalla critica, Strange Darling è quanto di meglio oggi si possa chiedere dal cinema di genere perché c’è una vera idea di cinema, forte e originale, ma c’è anche intrattenimento e tecnica. Un film completo e complesso che aspira a diventare un cult per le generazioni future.
In Italia, Strange Darling arriva al cinema dal 13 febbraio distribuito da Vertice360.
Roberto Giacomelli
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