The Decameron: una black comedy più boccacesca che mai
Questo 25 luglio Netflix ha distribuito sulla propria piattaforma gli otto episodi della serie The Decameron, che altri non è che la rielaborazione della rielaborazione del riassunto del soggetto del Decameron di Giovanni Boccaccio.
Nel 2024 possiamo anche lasciarci alle spalle tutti gli accattivanti “liberamente ispirato”, quelli che dopo la visione dei primi trenta minuti del primo episodio ci porterebbero a gridare “La solita americanataaaaa!” e a fare zapping sulla piattaforma. Ci risulterebbe molto più spontaneo invece fare una bella scorpacciata di serie tv/film ispirate alla cultura orientale e poi caricare recensioni entusiaste su Tik Tok. Ordunque, prendendo esempio dagli studenti del liceo classico, che hanno imparato a ingoiare tutti i mielosi, e falsissimi, happy ending dei vari Hercules, Troy, etc., possiamo sguinzagliare il giudizio critico e gustarci questa nuova e bislacca mini-serie.
Nel 1348 in Europa scoppiò la terrificante Peste Nera, che provocò la morte di un terzo della popolazione occidentale; nella gloriosa Firenze, la crème de la crème della nobiltà sopravvissuta viene invitata nella villa di campagna di un signorotto locale, allo scopo di mettere in salvo quel che resta del futuro della città. Così, la vanesia madama Pampinea (Zosia Mamet) assieme alla sua scaltra serva Misia (Saoirse- Monica Jackson) si mettono in viaggio e fanno la conoscenza della stramba Filomena (Tanya Reynolds), dell’ipocondriaco Messer Tindaro (Douggie McMeekin) e del suo fascinoso medico Dioneo (Amar Chadha-Patel), della coppia di fidanzati Panfilo (Karan Gill) e Neifile (Lou Gala), e dello sfuggente Sirisco (Tony Hale), il maggiordomo della villa, che li avvisa che il loro generoso anfitrione, nonché promesso sposo della stessa Pampinea, ha dovuto recarsi altrove, ma giungerà presto.
Da queste premesse hanno inizio le disavventure dell’allegra brigata che, tra flirt, scambi di personalità, intrighi romantici e gag demenziali, cercherà di sopravvivere non solo alla pestilenza, ma anche alla crudeltà del genere umano.
Mettendo da parte l’effetto trigger, tutto italiano, che il titolo della serie può innescare in uno spettatore che sin dalle scuole medie ha dovuto fare i riassunti di Chichibio e la gru & company, si può affermare che The Decameron è un prodotto molto divertente, assolutamente adatto per trascorrere qualche ora in maniera spensierata. Lo stile narrativo da soap opera camp è lo stesso di altre serie tv entrate nel cuore del pubblico come Ugly Betty, Non ho mai, Insatiable, ideati magari più per un target femminile teen-new adult in cerca di spensieratezza che per studenti alla ricerca di citazioni.
Nonostante ciò, la trama vanta anche dei tratti molto originali come la cornice survivor, nonché espedienti narrativi macabri, quali la costante presenza della Morte. Altro tassello interessante è che, come per altre serie incentrate sulla sopravvivenza, tipo Lost o The Walking Dead, al centro della scena non è posto il pericolo del contagio, ma in che modo esso trasforma i protagonisti. Ed ecco che, come ci si aspetta, la paura tira fuori gli istinti più bassi dell’animo umano: i personaggi non solo cercano di restare vivi ma anche di approfittare dell’occasione per ottenere vantaggi che il microcosmo della villa rende possibili.
Giustappunto, il sistema dei personaggi è organizzato in coppie formate da padrone e servo o da sagace/ottuso e il plot si focalizza sull’ascesa dei vari self made man/ self made woman; in un periodo storico come quello medievale in cui nascere nella classe nobiliare portava fin troppi privilegi, vediamo che la legge della selezione della specie si affida al Tristo Mietitore per riequilibrare le sorti.
Alla maniera dei primi Scary Movie, l’umorismo mordace fa la sua parte ridicolizzando le varie “vittime designate”, siano esse persone con poco sale in zucca o esseri fin troppo spregiudicati; non mancano ovviamente anche figure che si redimono e cominciano a vedere le cose per come stanno sul serio.
La scrittura dei dialoghi e dei protagonisti rispecchia la sensibilità contemporanea, questa caratteristica ha un chiaro intento satirico, poiché serve a ridicolizzare gli usi e i costumi di quelli che dovrebbero essere i Secoli Bui, ma al tempo stesso facilità l’immedesimazione nella storia, anche perché non mancano di certo frecciate ai vizi dell’attuale società.
Ben riuscito anche il casting: non ci soffermeremo di certo su quanto sia consono o meno reclutare attori di varie etnie in una fiction di ambientazione medievale, perché di certo questo elemento non compromette il livello finale di qualità, piuttosto ammettiamo che nessun interprete della serie buca lo schermo quanto la strana coppia Zosia Mamet, che con l’odiosa Pampinea riacquista tutto quel carisma, negativo, che alla sua Shoshanna di Girls mancava, e Saoirse- Monica Jackson che invece riprende un po’ la mimica clownesca che aveva in Derry Girls ma le sa aggiungere delle sfumature drammatiche.
Ammirabile la scenografia della villa con giardino, e la ricostruzione dei costumi, dei cibi, delle usanze e degli ambienti quasi-apocalittici che tendono volutamente all’irreale, restituendoci un Trecento abbastanza lontano da quello che, ad esempio, ci hanno regalato i film di Pupi Avati. Paradossalmente in quest’opera “letterary baiting”, con i suoi personaggi disinvolti, le insidie nascoste dietro l’angolo e il desiderio di riscatto sociale, lo spirito di Giovanni Boccaccio permane su ogni cosa. Quindi, così come la più spiritosa delle Tre Corone dedicò le sue novelle a un pubblico femminile, noi consigliamo la visione di The Decameron alle amanti delle sitcom fuori dagli schemi.
Ilaria Condemi de Felice
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