The Final Destination 3D, la recensione

Nick, la sua ragazza Lori e gli amici Hunt e Janet sono tra il pubblico di una corsa automobilistica quando Nick ha una premonizione in cui un terribile incidente in pista causa la morte di molte persone del pubblico, compreso lui e i suoi amici. Spaventato, Nick avverte i compagni e causa una piccola rissa trascinando fuori dall’autodromo anche altre persone. L’incidente accade realmente e ora le persone sopravvissute grazie alla premonizione cominceranno a morire una ad una nei modi più strani. La Morte reclama le vittime che le sono sfuggite!
La saga della sfiga giunge al quarto episodio e stavolta in stereoscopia, unica novità di un prodotto abbastanza inutile e poco originale.
Pochi sanno che era già Final Destination 3, datato 2006 e diretto da James Wong, a dover essere realizzato in 3D, naturalmente non il Digital 3D del 2009 ma il vecchio tridimensionale che si fruiva con gli occhialini anaglifi di cartoncino. L’idea non andò in porto e si è dovuto aspettare altri tre anni – e una sostanziale rivoluzione nella tecnologia di fruizione stereoscopica – per poter assistere a spettacolari morti causate da oggetti di tutti i giorni puntualmente convertiti in macchine killer che vengono scagliate verso gli spettatori in sala. Potrebbe sembrare scontato dirlo ma The Final Destination 3D, ormai orfano anche della numerazione serializzatrice, è davvero tutto qui: morti spettacolari e 3D. Nessuno si sarebbe aspettato di più, ma questo quarto capitolo delude comunque per tutta una serie di motivi che non riescono assolutamente a far passare oltre l’ovvio e rimarcano l’impegno minimo che troppo spesso ad Hollywood viene speso per fabbricare un prodotto trita-botteghini.
Se già il terzo film cominciava a mostrare la coda di una saga che stava preoccupantemente riciclando una singola idea per la terza volta, con The Final Destination 3D il difetto si fa ancora più evidente e ci si trova di fronte all’ennesimo massacro compiaciuto scremato di qualunque innovazione, perfino quelle ideuzze che venivano timidamente proposte nei capitoli 2 e 3 per movimentare il plot. Le stravaganti connessioni e i segni da decifrare di Final Destination 2 e le fotografie premonitrici di Final Destination 3 erano oro in confronto al vuoto totale di questo quarto capitolo, che dovrebbe differenziarsi dagli altri solamente per le visioni che il protagonista ha di tutte le morti, che poi non sarebbe altro che un facile espediente narrativo per eliminare il giochino del ‘cogli i segni’ dei film precedenti, unico motivo – qui negato – per stimolare il cervello in una saga che punta tutto sullo shock visivo.
Regressione sul piano dell’originalità, dunque, che si traduce in sostanziale inutilità. Primo punto.
Il secondo punto della lista intitolata “Tre buoni motivi per dire no a Final Destination 3D” è la poca fantasia nelle morti. Quello che era il segno contraddistintivo di questa saga rischia anche di abbandonarci, dal momento che si riciclano paro paro un paio di decessi dal primo film, un’altro somiglia un po’ troppo a un sanguinoso spezzatino già visto nel capitolo 2 e in generale la fantasia latita. Funzionano bene – se non benissimo – almeno due momenti di preparazione (nello specifico quello nell’autolavaggio e quello nell’ala del centro commerciale in costruzione) e c’è una morte da risucchio in una scala mobile splatterosa e ben realizzata, ma le altre danno un senso di idea sfruttata male (l’ubriacone trascinato dal carro attrezzi) se non addirittura di brutta idea e basta (il tizio schiacciato dalla vasca nell’ospedale). Anche il livello di splatter scende notevolmente in confronto ai due capitoli precedenti, concentrandosi qui giusto in poche scene e non localizzandosi in tutte le occasioni di morte come nei predecessori.
Ma è il terzo punto quello che più potrebbe far male allo spettatore, anche quello preparato al peggio, ovvero la scarsezza degli effetti speciali digitali. Essendo in 3D, il film riesce a mascherare bene il digitale grossolano, visto che lo spettatore è concentrato sull’effetto profondità, ma in alcuni casi neanche la stereoscopia riesce a coprire la magagna. E così tra automobili posticce che piombano sugli spettatori, schizzi di sangue troppo finti per appare realistici e premonizioni realizzate completamente con l’ausilio di effetti digitali c’è davvero molto per cui storcere il naso. Non dimenticando, tra l’altro, che se al cinema in Digital 3D la cosa potrebbe anche ‘passare’, una volta che il film sarà in home video e si decida di guardarlo in 2D tutti i “difetti visivi” saranno accentuati.
A favore del film c’è comunque questo famigerato 3D, ben utilizzato nella sua funzione primaria e basilare, ovvero quella di scagliare oggetti, armi e schizzi di sangue verso lo spettatore. Un giochino tanto infantile quanto innegabilmente ancora divertente. Poi The Final Destination 3D ha almeno una scena concettualmente intelligente, ovvero di ambientare il gran finale proprio in una sala cinematografica in cui si proietta un “esplosivo” film in 3D, trovando così una funzione autoreferenziale nonché originalmente metafilmica per riflettere proprio sul mezzo/tecnologia che si sta utilizzando.
Il cast è composto da completi sconosciuti provenienti dalle serie tv americane, tra cui spicca – ma solo per bellezza – Shantel VanSanten, che interpreta Lori.
Dietro la macchina da presa ritroviamo David R. Ellis, già autore di Final Destination 2 e del cult Snakes on a Plane.
Insomma, ci si diverte, questo è innegabile, anche perché il film dura poco e scorre veloce, però la sensazione che si è andati ben oltre la proverbiale frutta è davvero ingombrante.
Roberto Giacomelli
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