The Residence: Only Murders in the White House

In quest’ epoca di streaming matto e disperatissimo, in cui tutte le nuove produzioni sembrano voler puntare su idee originali e più innovative possibili, il Segreto di Pulcinella consiste invece nel voler rielaborare i cari e vecchi archetipi narrativi, in modo da ripresentare al pubblico prodotti insospettabilmente di “conforto”. The Residence, uscito lo scorso 20 marzo su Netflix, è un esempio calzante di questa inconfessata teoria. Il pubblico, infatti, non ammetterà mai che in questo periodo in cui i podcast True Crime e il successo di Only Murders in the Building celebrano le capacità investigative dell’uomo medio, si ricerca invece l’autorevolezza dei cari e vecchi detective professionisti.

Alla fine dei giochi, chi non vorrebbe il migliore detective al mondo a risolvere il proprio caso di omicidio e ad assicurare il colpevole alla giustizia e non a tre scappati di casa che agognano solo fama e ricchezza? A questo aggiungiamo stilemi narrativi che sembrano inclusivi ma che in realtà sono sempre risaltati nella storia dei thriller e abbiamo la nostra formula del successo.

The Residence comincia con la più classica delle situazioni in uno scenario più formale che mai: la Casa Bianca. Durante una cena con l’ambasciata australiana succede una catastrofe: in una delle stanze del terzo piano viene ritrovato il cadavere del signor A.B. Wynter (Giancarlo Esposito), lo Chief Usher della Casa Bianca. Vista la situazione, non può non essere chiamato il miglior detective del mondo, ovvero Cordelia Cupp (Uzo Aduba), appassionatissima di birdwatching e alla quale viene affiancato il detective Edwin Park (Randall Park).

Inutile dire che Cordelia Cupp è il “tipico genio atipico”, manicale ma intuitivo, impacciato ma menefreghista, forse neurodiverso ma molto fedele al fu Sherlock Holmes et cetera, a loro volta diversi dai fighissimi detective dannati e hard boiled osannati da secoli di cinema.

Lo svolgimento della trama è dunque il più tradizionale che ci sia: tutti gli invitati, dalle guest stars australiane della serata, Kylie Minogue, sino ai responsabili delle pulizie, vengono interrogati e nel corso delle otto puntate i vari tasselli delle loro parziali testimonianze vengono messi assieme e si giunge alla sospettata risoluzione del caso.

Fin qui sembra tutto abbastanza prevedibile, ma, come tutte le serie iconiche, la vera chiave di volta è costituita dalla complessità dei suoi personaggi. Nonostante i suoi tratti caratteristici – incredibile, una detective afroamericana e sovrappeso ossessionata dal birdwatching: avanguardia pura! – la protagonista della serie in realtà è solo una caustica osservatrice che scruta con attenzione, e con un velato giudizio, le nevrosi e le contraddizioni di tutto lo staff della residenza del più importante Capo di Stato del mondo, proprio nel momento in cui la presenza di rappresentanti di una nazione straniera potrebbe scatenare una fuga di informazioni  e una crisi politica.

Come sempre, dunque, la vernice umoristica va a braccetto con la cornice politico-culturale, tanto che lo spettatore finisce inconsciamente per sperare che quello che crede il colpevole la possa fare franca. Non per niente la casa di produzione Shondaland è la stessa che ha creato How to Get Away with Murder (Le regole del delitto perfetto). Ed è proprio qua che la scrittura di Kate Anderson Brower e Paul William Davies danno il loro meglio: prendono le prevedibili sensazioni che il pubblico medio prova e, con un raffinato gioco di archetipi e intrecci, danno loro dignità.

Il risultato è un’opera inattaccabile dal punto di vista tecnico e diegetico, che regala un confortevole intreccio suspence dai toni briosi anche ai più scafati fruitori del genere giallo.

Certo, i dialoghi sono molto prevedibili per un avventore dello stesso catalogo Netflix, che prevede battute sarcastiche e un basilare umorismo pseudo-intellettuale, ma la visione immediata e ininterrotta della serie risulta più rinfrescante che mai.

The Residence è quindi il sapiente risultato di uno studio che mescola elementi già visti con un’ambientazione e, soprattutto, uno sviluppo furbacchiotto ma funzionante. La curiositas è qui innescata dalla stessa scenografia; l’internazionalità stessa del catalogo Netflix fa in modo che non tutti sappiano quante stanze abbia la Casa Bianca e come funzioni il labirintico sistema del personale che serve la più grande potenza mondiale. L’occhio indagatore della protagonista è quindi apprezzato più per il suo intento divulgativo che non per la risoluzione effettiva del caso. La trama e la direzione data alla recitazione surreale degli interpreti hanno fini sicuramente macchiettistici ma efficaci; ancora una volta vediamo i più umili fornire informazioni decisive, contro l’autorità dei testimoni di primo piano.

Tirando le solite somme, The Residence è un prodotto davvero meritevole, con attori di prima scelta, che ha saputo rielaborare le peculiarità di un genere sempre in auge con una sensibilità moderna e un umorismo consueto ma confortevole, di certo più apprezzabile della maggior parte delle serie che vogliono mirare al capolavoro.

Ilaria Condemi de Felice

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