Thunderbolts*, la recensione

Se ormai ben conoscete il modus operandi dei Marvel Studios per le loro incarnazioni cinematografiche dei comics (e se siete qui a leggere questa recensione sicuramente lo conoscete), i legami tra cinema e fumetti sono spesso molto labili. E Thunderbolts* forse è uno dei titoli che maggiormente si discosta dal pregresso fumettistico per una gran quantità di motivi.

Il team-up creato nel 1997 dalla penna di Kurt Busiek e le matite di Mark Bagley, infatti, era estremamente diverso da quello mostrato nel 36° lungometraggio del Marvel Cinematic Universe e non solo per la formazione ma anche per l’intento orientato verso un piano criminale “sotto mentite spoglie”. Nei quasi trent’anni in cui i Thunderbolts hanno popolato l’immaginario fumettistico abbiamo assistito a diversi cambi nella formazione del gruppo e un avvicinamento concreto all’idea di “team di antieroi con nobili fini”, ma resta il fatto che il film diretto da Jake Schreier è davvero altro in confronto a quanto letto sui fumetti Marvel.

Reclutata da Valentina Allegra de Fontaine, Yelena Belova è incaricata di portare a termine un’ultima missione prima di ritirarsi dal suo ruolo d’azione: seguire e fermare Ava Starr, alias Ghost, infiltrandosi in un bunker segreto in una località desertica. Ben presto, però, Yelena si rende conto che nello stesso luogo ci sono anche John Walker, ovvero U.S. Agent, e Taskmaster, ognuno dei quali è stato condotto lì con lo stesso obiettivo, ovvero fermare l’altro. Tra di loro, però, compare misteriosamente anche Bob, un ragazzo spuntato dal nulla che dice di essersi svegliato lì dopo essersi sottoposto volontariamente come cavia per un esperimento medico. Chi è Bob e perché Valentina Allegra de Fontaine ha riunito alcuni dei peggiori criminali internazionali e super-umani in quel posto?

Meglio non svelare altro della trama non priva di sorprese di Thunderbolts* se non il già noto, ovvero che del team-up fanno parte anche Alexei Shostakov, patrigno di Yelena e noto come Red Guardian, e Bucky Barnes ovvero il Soldato d’Inverno, che per buona parte del film svolge un ruolo istituzionale come membro del Congresso.

Da tale premessa, che dona un tono claustrofobico al film, vista la location nel bunker che occupa quasi totalmente il primo atto, Thunderbolts* si sviluppa poi in maniera più canonica riportando però alla mente dello spettatore suggestioni provenienti da altri universi cine-fumettistici. La sceneggiatura di Eric Pearson, già noto per Thor: Ragnarok e Black Widow, inizialmente prevedeva infatti che il film si svolgesse interamente in quel bunker, ma poi il lavoro rifinito insieme a Joanna Calo (The Bear) e Lee Sung Jin (Beef – Lo scontro), ha significativamente riallineato il progetto alla struttura tipica dei film dell’MCU, compreso un lungo e spettacolare atto finale tra le strade di New York sottostanti l’ex Avengers Tower, che richiama prepotentemente alla memoria lo scontro finale di The Avengers, ma con sviluppi più dark e intimistici.

Dicevamo, però, che Thunderbolts* stuzzica l’immaginario cine-fumettistico perché ci sono richiami – voluti o meno – a Watchmen, a The Boys e, ovviamente, a The Suicide Squad – Missione Suicida che non si possono ignorare. Quello diretto da Jake Schreier è, infatti, un film “strano” per essere parte dell’MCU: molto incastrato nelle trame e nei personaggi (soprattutto quelli minori) visti in quasi dieci anni di universo cinematografico Marvel ma allo stesso tempo molto distante dai film visti fino ad ora.

La formula è la medesima che ha fatto il successo dei Marvel Studios, ovvero ironia + azione + un pizzico di dramma, ma il modo come questi ingredienti sono mescolati dà vita a un oggetto strambo e interessante.

Probabilmente a fare la differenza sono i personaggi scelti, lontanissimi da qualsiasi idea di eroe con il solo Bucky Barnes di Sebastian Stan e il suo ormai storico percorso di redenzione a incarnare l’idea di super-eroe vecchia scuola. Per il resto, abbiamo a che fare con assassini, criminali, mercenari, bugiardi e buffoni che non hanno davvero alcun interesse nel “salvare la situazione” e agiscono più che altro per portare a casa sana e salva la propria pelle.

Con un ruolo più centrale per la Yelena Belova di Florence Pugh, che possiamo considerare la vera protagonista del film, e molte scene iconiche affidate al Red Guardian di David Harbour (entrambi visti in Black Widow), Thunderbolts* ha comunque la forza di affidarsi a personaggi molto accattivanti che fino ad oggi abbiamo conosciuto poco, come Ghost (interpretata da Hannah John-Kamen come in Ant-Man and the Wasp) e John Walker (che ha il volto di Wyatt Russell come nella miniserie The Falcon and the Winter Soldier), ma ce ne sono anche di nuovi come Robert “Bob” Reynolds (Lewis Pullman), vero fulcro narrativo attorno a cui ruota l’intera storia. Ognuno di loro ha un vissuto drammatico, un passato traumatico che ne ha forgiato il “brutto ceffo” che conosciamo. Thunderbolts* non è un innesco narrativo per avviarne una redenzione di questi personaggi, anche perché alcuni di loro stavano già seguendo un processo di cambiamento, altri non hanno nessuna intenzione di diventare “bravi ragazzi”, ma è semplicemente un hic et nunc nella vita di questi disgraziati, che cercano di risolvere problemi come meglio sanno fare.

Thunderbolts*, sotto questo punto di vista, è un film molto onesto perché si vende esattamente come la controparte Marvel del Suicide Squad di James Gunn, però meno estremo e meno brillante; ed ha il grande merito di portare l’MCU verso una precisa direzione, così come aveva già fatto Captain America: Brave New World, quella che chiude questa faticosa Fase 5 traghettandoci verso un futuro decisamente stimolante, almeno nelle premesse.

Come noterete, Thunderbolts* ha un asterisco integrato nel titolo e questo asterisco ha una funzione ben precisa che scopriremo solo con le ultime battute del film. Si tratta di un reale plus, un valore aggiunto che dona un’immagine inedita a tutto quello che abbiamo visto nei precedenti 126 minuti.

Ovviamente non alzatevi dalle poltrone mentre scorrono i titoli di coda perché se la prima scena è solo un momento divertente in pieno stile Marvel, quel che vediamo alla fine è un importante passaggio alla Fase 6.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Pur conservando tutti gli elementi che hanno decretato il successo della “formula” MCU, Thunderbolts* è un film decisamente differente dai 35 che lo hanno preceduto.
  • I personaggi sono tutti interessanti e carismatici.
  • L’ultimo atto tra le strade di New York è molto suggestivo e spettacolare.
  • Ricorda altri cinecomics non Marvel e questo livella il primato che l’MCU ha sempre avuto in questo settore.
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Valutazione: 7.5/10 (su un totale di 2 voti)
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Thunderbolts*, la recensione, 7.5 out of 10 based on 2 ratings

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