Una figlia, la recensione

Sofia è un’adolescente che ha perso sua madre troppo presto. Pertanto, ha coltivato dentro di sé una rabbia in eccesso, un’infelicità latente e un attaccamento piuttosto morboso a suo padre, Pietro. Sofia non ha ancora accettato la morte di sua madre, forse mai lo farà, di conseguenza non riesce a vedere di buon occhio Chiara, la nuova compagna di suo padre che adesso vive in casa loro. Seppur Chiara faccia di tutto per cercare di instaurare un buon legame con la ragazza, Sofia si rifiuta in ogni modo di aprire un dialogo con lei, ponendosi sempre in modo ostile e aggressivo.

Una sera come tante, mentre Pietro è impegnato in una routinaria partita a paddle con gli amici, l’ennesimo scontro tra Sofia e Chiara degenera verso la tragedia e ad uno schiaffo fuori posto della donna segue una pugnalata in piena pancia da parte della ragazza.

Adesso sotto shock, Sofia è del tutto incapace di razionalizzare che da quel momento in poi la sua vita è destinata ad abbracciare un punto di non ritorno. Quando Pietro torna a casa e si ritrova sulla scena dell’omicidio è smarrito, non sa cosa fare, così chiama subito la polizia ritrovandosi ad essere il primo sospettato per ciò che è accaduto. Ma presto i nodi vengono al pettine. Sofia viene arrestata e così si prepara ad affrontare il carcere minorile e tutto il duro percorso punitivo che ne consegue mentre Pietro si vede costretto a mettere in pratica valori paterni non scontati come accettazione e perdono.

Quando si parla del nuovo cinema italiano, quello di qualità e che pertanto merita un giusto hype tra i veri cinefili, si finisce sempre per sbandierare i soliti autori che rispondono al nome di Paolo Sorrentino, Matteo Garrone, Stefano Sollima e talvolta ci finiscono dentro anche Mario Martone, Gianni Amelio, Gabriele Muccino o il più pop Gabriele Mainetti.

Per qualche ragione che nessuno è ancora riuscito a mettere bene a fuoco ci si dimentica spesso di Ivano De Matteo, un regista di enorme talento (a parere di chi scrive, assolutamente più bravo della maggior parte degli autori citati) che, facendo ormai coppia fissa con sua moglie sceneggiatrice Valentina Ferlan, si sta facendo portabandiera di un cinema veramente autoriale che vede la sua firma incisa in ogni singolo fotogramma, un cinema così tanto riconoscibile che continua a muoversi verso una precisa direzione film dopo film.

Apparentemente privo di qualsiasi frivolo vezzo artistico (ma più avanti torneremo su quell’apparentemente), quello di Ivano De Matteo è un cinema duro e crudo che sa guardare dritto negli occhi la società contemporanea, o per meglio dire il malessere insito all’interno di quella società che viviamo ciecamente ogni giorno. Le sue sono storie che sanno individuare e accarezzare con mano pesante i nervi scoperti del nostro sistema, riuscendo ad andare sempre a fondo con racconti amari e poco conciliatori che non fanno nulla per addolcire la pillola. La realtà che Ivano De Matteo racconta nei suoi film è amara e fa paura, spesso è difficile da digerire, così che il suo cinema riesce a farsi carico di sfumature emotivamente quasi horror pur trattandosi di drammi tout-court dai connotati sociali.

Ma la grandezza di Ivano De Matteo non è solo quella di saper raccontare con cinica realtà quella società che ci circonda e che è frutto di mille contraddizioni, leggi discutibili e scomodi dilemmi morali sui quali si dovrebbe riflettere più spesso, la sua bravura è quella di riuscire a coniugare questo aspetto socialmente rilevante con un cinema che non perde mai di vista la complessità dell’apparato cinematografico.

Pur se i suoi film sono molto al servizio della storia, con il contenuto che prende decisamente il sopravvento sulla tecnica, quello di Ivano De Matteo riesce ad essere un cinema sempre molto sofisticato messa in scena; un cinema che dietro ad un’impronta registica aggressiva e quasi famelica nasconde anche una consapevolezza tecnica non indifferente, assolutamente raffinata, che oltre all’utilizzo irriducibile della pellicola 35mm sfoggia spesso movimenti di camera complessi, giochi di fuoco ragionati, il tutto all’insegna di un regia che sa essere fortemente protagonista pur dando l’idea d’essere invisibile.

Dopo aver mosso i primi passi ad inizio anni Duemila come attore e dopo un paio di film imperfetti ma comunque già carichi di tutta la sua poetica come Ultimo stadio (2002) e La bella gente (2009 ma arrivato sul mercato nel 2015), il talento di De Matteo balza agli occhi di tutti nel 2012 con il bellissimo Gli Equilibristi interpretato da Valerio Mastandrea e in cui viene raccontato il tragico iter burocratico di un padre/marito che si ritrova di punto in bianco ad affrontare una separazione e tutto ciò che ne consegue. Da quel momento in poi, se per qualcuno non fosse ancora chiaro, il cinema del regista romano sposa l’obiettivo di prendere di petto i disequilibri del nostro Paese e affrontarli schiettamente e senza troppi fronzoli.

Dopo I nostri ragazzi (2014), La vita possibile (2016), Villetta con ospiti (2020) e l’acclamato Mia (2023), Ivano De Matteo torna a raccontare il difficile rapporto tra un padre e una figlia. Ma se nel film precedente con Edoardo Leo il focus era tutto incentrato su un padre impegnato a proteggere una figlia caduta nella morsa di un rapporto sentimentale tossico, con Una figlia gli equilibri si spostano, anzi sballano completamente, tanto che la figlia adolescente smette di essere la vittima per diventare la carnefice della situazione.

In questo nuovo gioco la posizione del padre diventa più che mai complessa perché a lui viene chiesto di fare il genitore mettendo sul banco di prova tutti quei valori paterni che non sono assolutamente scontati, quei valori che tutti crediamo di avere fino a quando non ci viene sbattuta in faccia la realtà.

A differenza di Mia, infatti, il protagonista di Una figlia è un padre che non deve lottare contro tutto e tutti per difendere “la sua bambina” in virtù di un istintivo amore paterno. Tutto al contrario. In Una figlia Pietro, il papà di Sofia, si trova costretto a dover lottare contro sé stesso proprio per cercare di salvaguardare il suo amore verso la figlia. Quando la ragazza, in un gesto tanto estremo quanto egoista, mette l’uomo nella condizione di perdere per la seconda volta la sua partner (e non solo!), Pietro dovrà scontrarsi con i suoi mostri interiori, contro la sua etica e la sua morale, per cercare di vedere ancora Sofia come una figlia e dunque comprendere le sue azioni e provare persino a perdonarla.

Ne viene fuori un racconto teso che si regge su un discorso interessante e stimolante, perché Una figlia è un film capace di far riflettere e di generare dibattiti individuali e di gruppo. Il primo tempo, in modo particolare, riesce a tenere lo spettatore con il fiato strozzato in gola, perché bastano pochi minuti al film per presentare bene la situazione e i personaggi. Tutto è così famigliare e chiaro, sin dalle prime scene, che quando si consuma la tragedia il pubblico non può far altro che stare con i singoli personaggi e provare a capire le motivazioni di ognuno di loro.

A dramma avvenuto, in perfetta comunione con lo stile autoriale del regista, Una figlia sfodera una serie di colpi bassi che sanno imprimersi fortemente negli occhi di chi guarda. Tutta la fase di arresto di Pietro, trattato dalla polizia come un mostro schifoso quando invece sappiamo che lui è innocente, oppure le crude perquisizioni carcerarie di Sofia, rappresentano momenti di cinema che fanno male per la loro realtà, per il loro squallore, poiché lontani da qualsiasi romanticismo o da qualunque verità romanzata e addolcita.

Ciò che forse convince un po’ meno, ma questo è un puro valore soggettivo che fa capo alle precise scelte artistiche, è la volontà nel secondo tempo di mettere parzialmente da parte i conflitti emotivi del padre per concentrare il vero focus della vicenda sulla figlia.

L’ultimo film di Ivano De Matteo decide di essere un racconto sul processo di riparazione della ragazza piuttosto che un film sull’accettazione del genitore. Forse, e lo diciamo nel totale rispetto delle scelte adottate, il punto di vista più interessante era quello fuori dal carcere (dunque di Pietro) piuttosto che quello dentro il carcere (dunque di Sofia), perché il vero conflitto morale che muove l’intera vicenda è quello del padre che deve scendere a patti con sé stesso e prendere coscienza del fatto che quella in prigione, per quanto abbia fatto cose mostruose, è pur sempre sua figlia. A tal proposito, infatti, risulta particolarmente efficace una frase inserita nelle ultime scene del film (estrapolata direttamente dal romanzo Qualunque cosa accada di Ciro Noja, di cui il film è una libera trasposizione) che recita “mentre un figlio può smettere di essere un figlio, un genitore non può smettere di essere un genitore, qualunque cosa accada”.

A dare valore all’opera, e confermando il talento di Ivano De Matteo anche come direttore di attori, ci pensa il reparto attoriale assolutamente eccellente che vede la giovane Ginevra Francesconi (The Nest, Il mio nome è vendetta) impegnata in un ruolo che riesce finalmente a valorizzare il suo grande talento e Stefano Accorsi in una delle parti più drammatiche e intense della sua carriera recente. Tra i ruoli secondari, si distinguono la sempre meravigliosa e bravissima Thony e l’efficace Michela Cescon.

Insomma, Una figlia è l’ennesimo colpo mandato a segno da Ivano De Matteo. Un film che continua a testimoniare l’enorme sensibilità artistica di un regista talentuoso, intelligente, che sa coniugare in modo perfetto la settima arte con i problemi tangibili della società che ogni giorno viviamo (forse) con gli occhi troppo chiusi. Indubbiamente il cinema italiano dovrebbe iniziare ad essere più riconoscente a questo regista.

Giuliano Giacomelli

PRO CONTRO
  • Ivano De Matteo, dopo Mia, torna alla regia di un duro dramma sociale che affronta il difficile rapporto padre-figlia da una prospettiva decisamente inedita.
  • Il cinismo con cui De Matteo racconta molte scene, lontano da qualsiasi abbellimento cinematografico.
  • Come sempre nel cinema di Ivano De Matteo, anche qui si nota un’attenzione rigorosa verso il mestiere puro del regista.
  • Il cast, assolutamente convincente!
  • Nel secondo tempo si concede troppo spazio alla storyline di Sofia dentro il carcere a discapito di quella di Pietro, che forse poteva offrire riflessioni ancora più interessanti.
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