Werewolves, la recensione

Se fino a poco tempo fa siamo stati invasi da un ritorno cinematografico agli anni ’80, con storie, franchise e personaggi ripresi direttamente da quel mitizzato ed iconico decennio fatto di luci e ombre, coerentemente adesso si sta procedendo verso una voglia nel rimestare gli anni ’90. Qua e là abbiamo già avuto lampanti esempi di ritorno a quel decennio, soprattutto per la voglia di rievocarlo con storie ambientate a fine secolo scorso, ma con un film come Werewolves si fa di più e si va a cogliere – consapevolmente o meno – proprio “l’esprit du temp”. Quello diretto da Steven C. Miller si presenta, così, come un horror fieramente anni ’90, nel bene e nel male, un B-movie che antepone l’azione analogica a tutto il resto.

Quando un preoccupante fenomeno, che gli scienziati hanno chiamato “Super Luna”, ha avvicinato più del normale il satellite terrestre al nostro Pianeta, si è attivato nell’organismo di molti esseri umani un gene latente che per un’intera notte li ha trasformati in licantropi. Il risultato è stato il caos totale e quasi un milione di vittime riconosciute.

A distanza di un anno da quella catastrofe, sta per ripetersi il fenomeno della Super Luna ma gli scienziati stanno lavorando sodo per testare un antidoto che faccia regredire il gene mutante, il problema è che solo durante la notte di Super Luna potranno testare effettivamente l’efficacia dell’antidoto. Nel frattempo, la popolazione si è barricata in casa, cercando di non esporsi ai raggi lunari e corazzando le proprie abitazioni per evitare che i licantropi possano far del male a chi non si trasforma.

A metà tra La notte del giudizio e Dog Soldiers, Werewolves ricorda nell’atmosfera metropolitana e nella concretezza della figura del licantropo il dimenticato Eclisse Letale con Mario Van Peebles e Patsy Kensit. Si, ok, quello di Steven C. Miller è decisamente un film migliore e più orrorifico di quello diretto nel 1993 da Anthony Hickox ma si respira quell’atmosfera da poliziesco di serie b, da creature feature con quel tocco d’ambizione in più.

Steven C. Miller, che nel 2006 aveva esordito con l’interessante zombie movie Automaton Transfusion e poi aveva trovato la celebrità con il buon Silent Night (2012) prima di dedicarsi ai polizieschi dell’ultimo Bruce Willis (Extraction, I Predoni, Fist Kill) e al pessimo horror sull’IA Margaux (2022), è uno che il mestiere lo conosce davvero bene e sa come organizzare anche in relativa economia uno spettacolo d’intrattenimento che sa mescolare azione e spavento.

In Werewolves, inoltre, c’è un high concept che ti permette di vendere il film solo raccontandone il soggetto perché, parliamoci chiaro, pensare a un The Purge coi lupi mannari fomenterebbe anche l’horrorofilo più snob. E in effetti Werewolves offre allo spettatore proprio quello che promette senza impegnarsi più di tanto, però, il che vuole dire che la sceneggiatura di Matthew Kennedy (Father’s Day) non va molto oltre il concept iniziale e quindi neanche ci prova a imbastire una trama articolata e personaggi interessanti.

Il film è strutturato in due tranches entrambe effettivamente in “modalità furto” dai primi due capitoli della saga de La notte del giudizio, dalla quale mutuano anche l’attore Frank Grillo, qui nel ruolo dell’ex militare e biologo molecolare Wesley Marshall. Il nostro protagonista è nel team che sta lavorando all’antidoto per la Super Luna ma è anche in apprensione per la cognata Lucy e la nipotina Emma che dovranno passare la nottata da sole in casa mentre fuori si aggirano bestioni sanguinari, tra i quali il vicino di casa suprematista bianco armato fino ai denti che bestione sanguinario lo è anche prima di trasformarsi in lupo mannaro. Da notare che Lucy ed Emma sono mulatte, quindi l’istinto predatorio del vicino licantropo sarà anche alimentato dall’ideologia razzista, giusto per condire la storia con un po’ di flame sociale.

Per metà, dunque, Werewolves si struttura come Anarchia – La notte del giudizio, con Frank Grillo e la sua collega – interpretata da una Katrina Law in gran spolvero – che devono attraversare la città messa a ferro e fuoco dai licantropi cercando di sopravvivere ai loro attacchi. Questa è la parte migliore e più divertente. Per l’altra metà abbiamo Lucy ed Emma – interpretate da Ilfenesh Hadera e Kamdynn Gary – in una situazione da home invasion mentre i lupi (e uno in particolare) tentano di entrare in casa. Questa parte è più risaputa e, anche se rappresenta il contraltare con la tensione da horror, funziona peggio della sua controparte da action metropolitano.

Lode alla scelta di realizzare i licantropi con effetti vecchio stile, principalmente costumi indossati da stuntmen, protesi e grosse teste animatroniche sviluppate da Studio Gillis. La CGI c’è ma è minima, per il resto vediamo in azioni licantropi concreti e bellissimi che nel look ricordano quelli di Dog Soldiers ma con la trovata di lasciare ad ognuno di loro dei tratti caratteristici degli umani, che possa essere il vestiario oppure alcuni elementi estetici (tipo piercing o colorazione dei capelli/pelo).

Werewolves è una buona alternativa all’horror arthouse che oggi va per la maggiore, un poderoso b-movie come si facevano una volta che offre azione ignorante, splatter e creature mostruose. Da un certo punto di vista è quasi liberatorio, oltre che perversamente nostalgico.

Werewolves arriverà nei cinema italiani dall’8 maggio distribuito da Notorious Pictures.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Concept originale.
  • Effetti speciali vecchia scuola molto riusciti.
  • Offre quello che promette.
  • Mostri sanguinari e azione: già questo dovrebbe bastare.
  • Sostanzialmente è una cazzata.
  • Trama ridotta all’osso e personaggi poco caratterizzati.
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