Here, la recensione del film di Robert Zemeckis

Una foresta si estende fino al di fuori dell’inquadratura e la zampa di un tirannosauro irrompe nel mentre il rettile è all’inseguimento di un altro dinosauro. Così ha avuto inizio la vita complessa sulla Terra e così inizia anche il nuovo film di Robert Zemeckis, Here, che parte da 65 milioni di anni indietro nel tempo per documentare, senza un reale ordine cronologico, la storia di un singolo appezzamento di terreno.
Pochi metri quadri eletti a casa da una popolazione indigena nel XV secolo, poi terreno della tenuta di William Franklin, sulla quale viene eretta una casa all’inizio del XX secolo. La stessa casa che ospiterà ben tre differenti famiglie nel corso del ‘900, l’ultima delle quali la abiterà per due generazioni fino alla vendita a dei nuovi abitanti a ridosso degli anni ’20 del XXI secolo, che la occuperanno nel periodo del covid per lasciarla nuovamente, nel 2024, ai precedenti proprietari ormai anziani.
L’ultrasettantenne Zemeckis continua ad essere il regista “sperimentatore” per antonomasia, un autore che non rinuncia mai a mettersi alla prova e affrontare con il piglio curioso che l’ha sempre contraddistinto nuove sfide tecnologiche. Con Here, lo scoglio da superare era il trascorrere diegetico del tempo e l’esigenza di mostrare gli stessi personaggi a distanza di molti anni, senza ricorrere a make-up o differenti attori di varia età. A venire in soccorso di questa esigenza non è stato il semplice deep-fake o la CGI impiegata per analoghe operazioni cinematografiche recenti, ma una tecnologia di intelligenza artificiale generativa nota come Metaphysic Live, utile a ringiovanire il volto degli attori in tempo reale senza pesanti interventi di post-produzione. Il risultato è decisamente sorprendente e Tom Hanks, Robin Wright, Paul Bettany e Kelly Reilly, mostrati nelle varie fasi della loro vita, ringiovaniti e invecchiati, offrono un effetto assolutamente realistico.
Ma, ovviamente, Here non è solo progresso tecnologico, così come non lo sono stati Chi ha incastrato Roger Rabbit?, Forrest Gump, Polar Express ed altri titoli importanti nella carriera di Zemeckis che hanno affrontato a muso duro l’innovazione tecnica.
Here è, innanzitutto, un film unico, un’opera estremamente originale che vuole ragionare sull’unità di spazio. Il tempo è ciclico, come possiamo facilmente vedere nelle varie storie che compongono il racconto, occupato da vite che però non sempre iniziano e finiscono dinnanzi agli occhi dello spettatore.
Ad occupare il segmento più importante in Here è la vita della famiglia Young, che vive in quel luogo per due generazioni, estendendosi ad una terza. Osservando le vite di Al (Paul Bettany), Rose (Kelly Reilly), Richard (Tom Hanks) e Margaret (Robin Wright) siamo testimoni con loro della gioia, della tristezza, del dolore, della nascita, della malattia e della morte. La famiglia Young è una famiglia “tipo”, archetipo e stereotipo, testimonianza di vita umana all’interno di uno spazio circoscritto rettangolare. Uno spazio che si sdoppia, triplica, sovrappone e alterna in dissolvenze attraverso continui pop-up, anzi vignette, che consentono allo spettatore di andare avanti e indietro nel tempo per scorgere cosa e quando sta accadendo in quel rettangolo di vita.
E non è un caso, dal momento che Here è l’adattamento cinematografico di un graphic novel dallo stesso titolo scritto e illustrato da Richard McGuire nel 2014 come ampliamento di un’opera a fumetti del 1989. Proprio dal linguaggio del fumetto riprende il montaggio a finestre dove nella stessa inquadratura si incontrano diverse epoche.
E qui, in questo audace montaggio, si trova la seconda prova che Zemeckis ha voluto affrontare, ovvero scardinare il linguaggio classico del montaggio cinematografico reinventandolo a favore dell’inquadratura unica. Perché Here utilizza, appunto, una sola inquadratura per 105 minuti, facendo sì che la vita dei personaggi si svolga davanti a quell’obiettivo, almeno nei momenti salienti. Questo implica qualche forzatura nel far collimare luogo ed eventi, ma è necessario alla stessa grammatica intrinseca all’operazione.
Quello che possiamo rimproverare a Here è l’eccessivo affollamento di vite che occupano nel tempo quello spazio. Non adottando una narrazione cronologica e avendo la necessità di spostarsi di continuo da una finestra all’altra, il film di Zemeckis finisce per peccare in affezione. Cioè, è la famiglia Young a spiccare all’interno della varietà di personaggi, ma si ha la sensazione che ci sia sempre troppo poco tempo per raccontarne la storia e per far affezionare lo spettatore a quei personaggi. Per di più, ci sono momenti di fortissima emotività nel film, in cui si affrontano lutti improvvisi, malattie, ma anche la gioia della nascita e alcune belle notizie, solo che c’è sempre una finestra pronta ad aprirsi su un altro momento, magari lontanissimo nel tempo, che interrompe l’intensità di quello che si sta vedendo.
Dopo diversi passi falsi (cerchiamo ancora di dimenticare il suo Pinocchio disneyano), Zemeckis con Here torna a lasciare il segno, a sperimentare un nuovo modo di pensare e portare in scena il cinema. E lo fa riunendo la squadra di Forrest Gump che non si limita a riavere uno a fianco all’altra Tom Hanks e Robin Wright, ma riunisce dopo 30 anni anche lo sceneggiatore Eric Roth, il direttore della fotografia Don Burgess e il musicista Alan Silvestri.
Here non è esente da difetti, anzi è un “esperimento” altamente migliorabile, ma proprio in quanto tale è destinato a farsi ricordare e ribadire come il cinema sia un mezzo dalle possibilità espressive praticamente illimitate.
Here arriva nei cinema italiani il 9 gennaio 2025 distribuito da Eagle Pictures.
Roberto Giacomelli
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