Archivio categorie: Cinema

Until Dawn – Fino all’alba, la recensione

Quello delle avventure narrative è un filone fiorente e amato nel settore dei videogame che ha generato alcune vere e proprie pietre miliari come Fahrenheit e Heavy Rain, Life is Strange, Road 96 e Until Dawn. Proprio quest’ultimo, sviluppato da Supermassive Games e pubblicato nel 2015 su Play Station 4, ha portato quel genere videoludico a confrontarsi con l’horror-slasher creando un grande omaggio a uno dei filoni del cinema horror che più ha caratterizzato gli anni ’80 e ’90 dello scorso secolo. Ora quel videogame è diventato un film co-prodotto da Play Station Productions, la divisione della Sony addetta a trasposizioni cinematografiche e televisive di alcuni noti brand videoludici che ha già partorito i film Uncharted e Gran Turismo nonché l’acclamata serie tv The Last of Us.  

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Valutazione: 6.5/10 (su un totale di 2 voti)
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Una figlia, la recensione

Sofia è un’adolescente che ha perso sua madre troppo presto. Pertanto, ha coltivato dentro di sé una rabbia in eccesso, un’infelicità latente e un attaccamento piuttosto morboso a suo padre, Pietro. Sofia non ha ancora accettato la morte di sua madre, forse mai lo farà, di conseguenza non riesce a vedere di buon occhio Chiara, la nuova compagna di suo padre che adesso vive in casa loro. Seppur Chiara faccia di tutto per cercare di instaurare un buon legame con la ragazza, Sofia si rifiuta in ogni modo di aprire un dialogo con lei, ponendosi sempre in modo ostile e aggressivo.

Una sera come tante, mentre Pietro è impegnato in una routinaria partita a paddle con gli amici, l’ennesimo scontro tra Sofia e Chiara degenera verso la tragedia e ad uno schiaffo fuori posto della donna segue una pugnalata in piena pancia da parte della ragazza.

Adesso sotto shock, Sofia è del tutto incapace di razionalizzare che da quel momento in poi la sua vita è destinata ad abbracciare un punto di non ritorno. Quando Pietro torna a casa e si ritrova sulla scena dell’omicidio è smarrito, non sa cosa fare, così chiama subito la polizia ritrovandosi ad essere il primo sospettato per ciò che è accaduto. Ma presto i nodi vengono al pettine. Sofia viene arrestata e così si prepara ad affrontare il carcere minorile e tutto il duro percorso punitivo che ne consegue mentre Pietro si vede costretto a mettere in pratica valori paterni non scontati come accettazione e perdono.

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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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The Accountant 2, la recensione

Sono passati ben 9 anni da quando The Accountant arrivava timidamente nei cinema. Il finale di quel bizzarro action/drama ci suggeriva che poteva nascere un franchise, ma la performance poco brillante al botteghino sembrava aver stroncato sul nascere un nuovo “giustiziere” cinematografico, speranza che si è riaccesa negli anni vista la popolarità che The Accountant ha acquistato sulle piattaforme streaming, piazzandosi periodicamente nei primi posti di noleggi e acquisti. Proprio da questa “seconda vita” che l’ha trasformato in un cult, The Accountant ha guadagnato un sequel tardivo che ha coinvolto l’intero team del primo film: Gavin O’Connor alla regia, Bill Dubuque alla sceneggiatura, Ben Affleck come interprete principale e produttore e un cast che ritrova la presenza di Jon Bernthal, J.K. Simmons e Cynthia Addai-Robinson.

Viste le premesse, sarebbe stato logico pensare a The Accountant 2 come un film original per le piattaforme e nonostante ci sia dietro effettivamente Amazon MgM, il nuovo film di Gavin O’Connor arriva al cinema, distribuito da Warner Bros., a partire dal 24 aprile 2025.

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Valutazione: 6.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Moon il panda, la recensione

Tian è un adolescente distratto, eccessivamente introverso e poco stimolato da tutto ciò che lo circonda. Per certi aspetti è un po’ l’opposto di sua sorella Liya, diligente e virtuosa, con un ottimo rendimento scolastico e bravissima nella danza con il ventaglio. Quando la sera del suo compleanno porta a casa la pagella scolastica, Tian serve al padre l’ultima delusione: il ragazzo, infatti, è l’ultimo della sua classe e i suoi voti sono davvero imbarazzanti. Il genitore, che vorrebbe un figlio modello al pari della sorella, proibisce al ragazzo di passare le vacanze estive presso l’ambito campus dei videogames e obbliga il figlio a trasferirsi a casa della saggia nonna Nai Nai, una piccola baita immersa nelle foreste di bambù del Sichuan.

Arrivato a casa di sua nonna, Tian trascorre i primi momenti in balia della noia e con gli occhi incollati sulla console portatile di videogiochi. Quando però viene incaricato da Nai Nai di andare nel bosco adiacente la casa per cercare un po’ di legna da ardere, Tian fa l’incontro che lo cambia per sempre: tra gli alberi di bambù incontra un cucciolo di panda a cui dà subito il nome di Moon. Tra il ragazzo e il cucciolo scatta immediatamente una scintilla e così il giovane, non curante delle severe leggi a tutela della salvaguardia dei panda, decide di avvicinare il cucciolo e instaurare con lui il suo primo e vero rapporto di amicizia.

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Valutazione: 5.5/10 (su un totale di 2 voti)
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I Peccatori, la recensione

Me and the Devil Blues è una delle più note ballate blues di uno dei più noti bluesmen della storia, Robert Johnson. L’artista in questo brano immaginava un suo incontro con il Diavolo, quando quest’ultimo era tornato a reclamare la sua anima.

When you knocked upon my doorAnd I said, “Hello Satan” –

I believe it’s time to go” – Me and the Devil – Was walkin’ side by side”.

Uno dei testi che hanno alimentato la leggenda di questo grande artista che, si dice, avesse venduto la sua anima al diavolo a un crocevia per ricevere il talento musicale.

Ma il legame tra il blues e il Maligno è risaputo e precedente alla comparsa sulle scene del noto chitarrista e cantautore, non a caso il Blues è considerato storicamente “la musica del Diavolo”. Probabilmente era una semplice questione di estremo bigottismo da parte degli ambienti religiosi del Sud degli Stati Uniti dove le sonorità “stonate” del blues erano viste come terreno fertile per il Diavolo, o meglio, tutto quello che si estendeva al di fuori del gospel non era visto di buon occhio dalla comunità. Fatto sta che oltre al suo valore artistico e sociale, all’essere stato eletto il canto del dolore e della voglia di riscatto, questo genere musicale che nasceva nei campi di cotone del Delta del Mississippi è stato spesso associato alla fascinazione per il Male.

Con un encomiabile raccordo tra generi e racconto, Ryan Coogler trova una strada molto affascinante per fare un film sul blues andando a scavare proprio nel torbido dei suoi elementi più esoterici e folkloristici e con I Peccatori dà vita a un horror che, pur rubacchiando qua e là, si presenta con una veste d’insieme davvero singolare.

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Valutazione: 7.5/10 (su un totale di 2 voti)
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Queer, la recensione del film di Luca Guadagnino

Luca Guadagnino torna alla Mostra del Cinema di Venezia con l’adattamento di un romanzo breve di William S. Burroughs, Queer.

Siamo nel 1950. Lee (uno stropicciatissimo Daniel Craig, perfettamente in parte) passa le giornate e le serate nei locali gay di Città del Messico, alla ricerca di incontri occasionali. Del suo passato non ci viene svelato molto: intuiamo che si sia trasferito all’estero anche per vivere alla luce del sole la propria omosessualità. Il suo presente, invece, è un loop crepuscolare, decadente: l’uomo si aggira senza una direzione nel sottobosco della capitale messicana, in un passivo tourbillon di sesso e droga. Qualcosa in lui cambia all’incontro con Gene, un giovane enigmatico con cui inizia una frequentazione dapprima platonica.

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Valutazione: 6.5/10 (su un totale di 2 voti)
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Eden, la recensione

Tra le due Guerre, il dottor Friedrich Ritter fugge dalla Germania rinnegando i valori borghesi, sfiduciato dalla piega presa dalla politica e dalla società tedesca, e si rifugia sull’Isola di Floreana, nell’arcipelago delle Galapagos. Insieme a lui l’amante e discepola Dora Strauch, malata di sclerosi multipla.

Nel corso degli anni, Ritter invia alla stampa tedesca le sue lettere con le quali espone la sua teoria filosofica per gettare la basi di una nuova civiltà e millanta anche una miracolosa e repentina guarigione di Dora. Tra coloro rimasti affascinati dagli scritti del dottore c’è il veterano di guerra Heinz Wittmer, che decide di raggiungere Ritter insieme alla sua giovane moglie Margret e suo figlio Harry, malato di tubercolosi, con l’intento di trovare una cura per il ragazzo.

L’iniziale convivenza tra Ritter e Wittmer non è tra le migliori, ma con le dovute distanze il dottore accetta gli “ospiti”, il problema sopraggiunge con l’arrivo della sedicente Baronessa Eloise Bosquet de Wagner Wehrhorn e dei suoi servitori/amanti, intenzionata ad aprire un resort sull’isola.

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A Working Man, la recensione del film con Jason Statham

All’interno del macro-genere action c’è un filone molto codificato che è quello del “giustiziere”. Parliamo di una tipologia di film, per lo più di derivazione letteraria e dalle forti influenze nel noir classico americano, che ci mette nei panni di un uomo solo e possibilmente traumatizzato, preferibilmente con un vissuto colmo di scheletri e una preparazione militare, che è costretto suo malgrado a rivangare nel suo passato di violenza per una questione del presente, non essenzialmente collegata al suo vissuto (ma se lo è, la posta in gioco cresce). Insomma, parliamo del cinema dei Charles Bronson, che di volta in volta ha aggiunto volti di pregio al campionario degli action-men: da Sylvester Stallone a Mel Gibson, Arnold Schwarzenegger, Bruce Willis, Clint Eastwood e Lee Marvin, con veri e propri specialisti come Chuck Norris, Steven Seagal, Jean Claude Van Damme e Dolph Lundgren. Una tradizione che si è rinnovata nei decenni e ha aggiunto personalità di livello al catalogo dei giustizieri, come Liam Neeson, Denzel Washington e Keanu Reeves. Ma c’è un nome che riecheggia ormai da decenni nel panorama del cinema action, spesso proprio nel filone dei giustizieri, e quel nome è Jason Statham che, in un colpo solo, incarna le qualità di un po’ tutti i nomi citati.

Statham ha ormai un curriculum corposo ed è una delle super-star del panorama d’azione, ma l’uscita nei cinema (e il successo negli Stati Uniti) di A Working Man ci dice che la sua aderenza al personaggio del “giustiziere” si sta facendo sempre più insistente.

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Death of a Unicorn, la recensione

Fino al Medioevo, l’Unicorno era considerato un animale reale e veniva catalogato all’interno dei Bestiari, poi escluso dai manuali di scienza naturalistica solo nel corso del XIX secolo. Ovviamente era molto “difficile” imbattersi in questo possente cavallo bianco con un unico corno a spirale nel centro della fronte che – si raccontava – potesse essere domato solo da una vergine. Si diceva, inoltre, che il suo corno avesse facoltà anti-venefiche e per questo si tramandava che presso le dinastie reali europee veniva solitamente custodita una coppa realizzata con corno di unicorno per scongiurare che il regnante ingerisse una bevanda avvelenata. Addirittura, nell’inventario del tesoro di Papa Bonifacio VIII del 1295, veniva riportata menzione, per la prima volta nella documentazione papale, di “quattro corne di unicorni, lunghe e contorte utilizzati per fare l’assaggio di tutto ciò che era presentato al papa”.

Ma se il mondo delle favole e l’universo fantasy (per famiglie) è stato spesso terreno di galoppo per fieri unicorni, fino all’elezione di questa creatura a mascotte per il movimento LGBT, in quanto essere singolare e privo di contorni univoci, stranamente nessuno sceneggiatore aveva trasformato l’unicorno in temibile bestia assassina di un film horror. Certo, c’era stata una bizzarra comparsata in quel gioiellino di Quella casa nel bosco (2011) di Drew Goddard, ma protagonista mai. A colmare questa lacuna ci pensa l’esordiente regista Alex Scharfman che utilizza le ferree dinamiche di un beast-movie per la fanta-commedia horror targata A24 Death of a Unicorn.

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The Shrouds – Misteri sepolti, la recensione

Rimasto vedovo di sua moglie Becca, l’imprenditore Karsh ha fondato la GraveTech, una società che produce particolari sudari che permettono di osservare il lento processo di decomposizione dei corpi che vi vengono avvolti. Contemporaneamente, Karsh ha aperto dei cimiteri dotati di lapidi con un particolare sistema video a circuito chiuso che permette ai visitatori proprio di osservare le immagini registrate dai sudari. Le stesse immagini sono comunque fruibili dai cari degli estinti anche a casa collegandosi alla GraveTech con una app. Questo serve, in primis, proprio a Karsh per elaborare il lutto della morte di Becca; ma osservando l’amata consorte nota un’anomalia nelle ossa della moglie, come se queste stiano mutando post-mortem. Inoltre, il cimitero della GraveTech in cui è sepolta Becca viene vandalizzato e il sistema informatico a cui è collegato viene hackerato: i responsabili sembrano essere degli eco-terroristi islandesi, ma Terry, sorella gemella di Becca, è convinta che si siano di mezzo i servizi segreti russi e cinesi.

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