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Final Destination: Bloodlines, la recensione del sesto film della saga

Sono passati ben 14 anni da quando la Morte è venuta l’ultima volta a fare visita a un gruppo di “malcapitati superstiti”. Era il 2011 e usciva nei cinema Final Destination 5, riuscitissimo prequel che chiudeva idealmente il cerchio di una saga molto amata dai fan dell’horror ma anche visibilmente stanca, intrappolata in un meccanismo tanto geniale quanto ripetitivo. E visto che le regole create da Jeffrey Reddick nel 2000 insieme a Glen Morgan e James Wong per il primo film della saga concedono davvero pochi margini di manovra, l’ideale era mettere a riposo il franchise per un po’ di tempo, così da stuzzicare l’acquolina dei fan e sperare che, nel frattempo, potessero nascere nuovi spettatori per questa saga.
Così è stato e Final Destination: Bloodlines resuscita il brand con una sorta di soft-reboot che si pone sì come sesto film di una saga, ma soprattutto come episodio stand-alone che non necessita rewatch o recuperi all’ultimo minuto per essere compreso nella sua interezza.
The Legend of Ochi, la recensione

È paradossale e bellissimo che nel 2025, epoca caratterizzata dall’intelligenza artificiale e da progressi scientifici e tecnologici vicini alla fantascienza di un tempo, il cinema stia ritrovando il fascino dell’analogico. Sono sempre di più, infatti, i film che si affidano all’effetto speciale pratico, alla pellicola, ridimensionando e rendendo invisibile ogni procedimento digitale. C’è stato un momento, infatti, in cui la CGI sembrava destinata a sostituire completamente ogni processo produttivo e creativo nell’effettistica: da Matrix in poi l’effetto visivo era destinato a una rivoluzione irreversibile. Invece, con una certa sorpresa, stiamo notando un ritorno al cinema di pupazzi e figure animatroniche, di “costumoni”, passo uno e protesi. E The Legend of Ochi di Isaiah Saxon è proprio la sublimazione di questo ritorno alle origini dell’effettistica nel cinema fantastico.
Colpi d’amore, la recensione

Marvin Gable è un agente immobiliare nei sobborghi di Milwaukee, dove i cartelli “Vendesi” sono più numerosi delle case stesse. La sua vita sembra monotona e tranquilla, ma nasconde un passato oscuro. Quando riceve una misteriosa busta rossa da Rose, una sua ex complice che credeva morta, Marvin viene risucchiato nuovamente in un mondo di sicari spietati, doppi giochi e combattimenti all’ultimo sangue. Un boss del crimine, infatti, è sulle sue tracce e l’agente immobiliare dovrà confrontarsi con un passato mai sepolto, ora tornato a perseguitarlo.
Colpi d’Amore (in originale Love Hurts) è un film che mescola abilmente azione e commedia, offrendo una narrazione adrenalinica e coinvolgente. Diretto da Jonathan Eusebio, noto per il suo lavoro come coordinatore di stunt in film come John Wick e The Avengers, il film segna il suo debutto alla regia. La sceneggiatura, firmata da Matthew Murray, Josh Stoddard e Luke Passmore, costruisce una storia che alterna momenti di tensione a sequenze di puro intrattenimento.
Werewolves, la recensione

Se fino a poco tempo fa siamo stati invasi da un ritorno cinematografico agli anni ’80, con storie, franchise e personaggi ripresi direttamente da quel mitizzato ed iconico decennio fatto di luci e ombre, coerentemente adesso si sta procedendo verso una voglia nel rimestare gli anni ’90. Qua e là abbiamo già avuto lampanti esempi di ritorno a quel decennio, soprattutto per la voglia di rievocarlo con storie ambientate a fine secolo scorso, ma con un film come Werewolves si fa di più e si va a cogliere – consapevolmente o meno – proprio “l’esprit du temp”. Quello diretto da Steven C. Miller si presenta, così, come un horror fieramente anni ’90, nel bene e nel male, un B-movie che antepone l’azione analogica a tutto il resto.
Black Bag – Doppio gioco, la recensione

In gergo spionistico, una “black bag operation” indica un’azione segreta, solitamente illegale o non autorizzata ufficialmente, comunemente un’effrazione, un’intercettazione o un furto di documenti sensibili. Steven Soderbergh carpisce questo termine per farne il titolo del suo film, Black Bag – Doppio gioco, che in superficie è ovviamente una spy-story, ma a leggere tra le righe è una commedia che affronta la complessità della comunicazione all’interno di una coppia.
L’agente dei servizi segreti inglesi George Woodhouse viene contatto dal suo superiore per scoprire chi è la talpa che ha trafugato e sta cercando di vendere un software top-secret dal nome in codice Severus. Tra i cinque agenti del SIS sospettati c’è anche sua moglie Kathryn. Così, per smascherare il traditore e dopo aver dichiarato le sue intenzioni a Kathryn, George invita gli altri quattro a cena a casa sua: Clarissa, il suo compagno e superiore Freddie, la psichiatra dell’agenzia Joe e il suo fidanzato James, anche lui agente segreto. Ma quando il capo di George muore, stroncato da un attacco cardiaco molto sospetto, le certezze dell’uomo cominciano a vacillare sempre di più, soprattutto in relazione all’eventuale coinvolgimento di sua moglie, che ormai conosce la posta in gioco.
Until Dawn – Fino all’alba, la recensione

Quello delle avventure narrative è un filone fiorente e amato nel settore dei videogame che ha generato alcune vere e proprie pietre miliari come Fahrenheit e Heavy Rain, Life is Strange, Road 96 e Until Dawn. Proprio quest’ultimo, sviluppato da Supermassive Games e pubblicato nel 2015 su Play Station 4, ha portato quel genere videoludico a confrontarsi con l’horror-slasher creando un grande omaggio a uno dei filoni del cinema horror che più ha caratterizzato gli anni ’80 e ’90 dello scorso secolo. Ora quel videogame è diventato un film co-prodotto da Play Station Productions, la divisione della Sony addetta a trasposizioni cinematografiche e televisive di alcuni noti brand videoludici che ha già partorito i film Uncharted e Gran Turismo nonché l’acclamata serie tv The Last of Us.
Una figlia, la recensione

Sofia è un’adolescente che ha perso sua madre troppo presto. Pertanto, ha coltivato dentro di sé una rabbia in eccesso, un’infelicità latente e un attaccamento piuttosto morboso a suo padre, Pietro. Sofia non ha ancora accettato la morte di sua madre, forse mai lo farà, di conseguenza non riesce a vedere di buon occhio Chiara, la nuova compagna di suo padre che adesso vive in casa loro. Seppur Chiara faccia di tutto per cercare di instaurare un buon legame con la ragazza, Sofia si rifiuta in ogni modo di aprire un dialogo con lei, ponendosi sempre in modo ostile e aggressivo.
Una sera come tante, mentre Pietro è impegnato in una routinaria partita a paddle con gli amici, l’ennesimo scontro tra Sofia e Chiara degenera verso la tragedia e ad uno schiaffo fuori posto della donna segue una pugnalata in piena pancia da parte della ragazza.
Adesso sotto shock, Sofia è del tutto incapace di razionalizzare che da quel momento in poi la sua vita è destinata ad abbracciare un punto di non ritorno. Quando Pietro torna a casa e si ritrova sulla scena dell’omicidio è smarrito, non sa cosa fare, così chiama subito la polizia ritrovandosi ad essere il primo sospettato per ciò che è accaduto. Ma presto i nodi vengono al pettine. Sofia viene arrestata e così si prepara ad affrontare il carcere minorile e tutto il duro percorso punitivo che ne consegue mentre Pietro si vede costretto a mettere in pratica valori paterni non scontati come accettazione e perdono.
The Accountant 2, la recensione

Sono passati ben 9 anni da quando The Accountant arrivava timidamente nei cinema. Il finale di quel bizzarro action/drama ci suggeriva che poteva nascere un franchise, ma la performance poco brillante al botteghino sembrava aver stroncato sul nascere un nuovo “giustiziere” cinematografico, speranza che si è riaccesa negli anni vista la popolarità che The Accountant ha acquistato sulle piattaforme streaming, piazzandosi periodicamente nei primi posti di noleggi e acquisti. Proprio da questa “seconda vita” che l’ha trasformato in un cult, The Accountant ha guadagnato un sequel tardivo che ha coinvolto l’intero team del primo film: Gavin O’Connor alla regia, Bill Dubuque alla sceneggiatura, Ben Affleck come interprete principale e produttore e un cast che ritrova la presenza di Jon Bernthal, J.K. Simmons e Cynthia Addai-Robinson.
Viste le premesse, sarebbe stato logico pensare a The Accountant 2 come un film original per le piattaforme e nonostante ci sia dietro effettivamente Amazon MgM, il nuovo film di Gavin O’Connor arriva al cinema, distribuito da Warner Bros., a partire dal 24 aprile 2025.