Monkey Man, la recensione

Non è un mistero che in India ci sia una cesura sociale tale da spezzare in due la Nazione tra molto ricchi e molto poveri, facendo così convivere in un’unica realtà due anime profondamente contrapposte che trovano nella religione un comune punto d’incontro. L’attore Dev Patel, inglese di nascita ma con origini indiane, ha voluto approfondire proprio questa grande contraddizione della sua Terra originaria per un esordio alla regia fuori dal comune, Monkey Man. Perché è facile affrontare queste tematiche in un film drammatico, magari tratto da una storia vera, in cui si va a toccare l’emotività dello spettatore portando in scena vicende umane facilmente condivisibili, ma farlo con un frenetico e violentissimo action-movie 100% di finzione è un’impresa che richiede una certa maestria che Patel ha dimostrato di possedere.

Kid si guadagna da vivere partecipando a incontri clandestini di lotta in cui, con il volto nascosto da una maschera da scimmia, è pagato per perdere. Quando riesce a farsi assumere come lavapiatti in un esclusivo locale della zona più in della città, inizia una strategica scalata di carriera che possa avvicinarlo ai privé, solitamente frequentati dal capo della polizia locale, Rana Sigh. Kid sta infatti escogitando una vendetta che possa attenuare il trauma che lo accompagna fin da quando era un bambino.

Scorrendo l’iter produttivo di Monkey Man ci rendiamo conto quanto sia stato arduo portare a termine questo action/revenge-movie che è nato con le migliori intenzioni nel 2018 dalla volontà dell’attore/regista/sceneggiatore/produttore Dev Patel, un’artista noto principalmente per aver vestito i panni da protagonista in celebri film come The Millionaire di Danny Boyle, Humandroid di Neill Blomkamp e Lion – La strada verso casa di Garth Davis. La produzione del progetto sarebbe dovuta partire proprio quando è scoppiata la pandemia di covid, che ha reso impossibile utilizzare l’India come location anche per il periodo successivo al lockdown; quindi, si è optato per l’Indonesia dove si è abbattuta su tutta la troupe ogni sciagura possibile: incidenti fisici per il protagonista, budget insufficiente, una funesta perdita delle attrezzature. Tanti ostacoli che hanno portato la produzione a fare di necessità virtù preferendo uno stile di ripresa concitato che mascherasse alcune limitazioni e il riassemblaggio e riutilizzo di set e oggetti di scena.

Come se non bastasse, Netflix che doveva inizialmente distribuire il film ha voltato le spalle alla produzione dopo aver visionato l’opera che, inaspettatamente, ha trovato un gran favore del pubblico nei test screening tanto che Jordan Peele, entrato in corsa in produzione con la sua Monkeypaw, è riuscito a far guadagnare al film un’uscita in sala con Universal Pictures. Insomma, una storia a lieto fine che può rincuorare anche lo spettatore dal momento che il risultato finale è davvero riuscito.

Di base, Dev Patel non inventa nulla e il suo Monkey Man è narrativamente affine a molti action/thriller a tema vendetta. Quel che colpisce in positivo, invece, è come ha gestito (nonostante le difficoltà di cui sopra) l’impianto visivo del film e l’azione scatenata attorno a cui tutto ruota.

Siamo concettualmente dalle parti di John Wick (che curiosamente viene anche citato in una battuta!), anzi, Monkey Man è probabilmente il progetto successivo alla saga di John Wick che più di ogni altro ne mostra l’influenza. In confronto ai film con Keanu Reeves, però, in Monkey Man si notta uno stile volutamente sporco, grezzo, nervosissimo.

Se Keanu Reeves è anche un atleta, Dev Patel no e intelligentemente il film fa di tutto per sottolineare l’inadeguatezza del protagonista alla situazione in cui si è ficcato. Kid combatte nei fight club ed è un esperto perdente, è agile ma anche esile, non ha tecnica e prende più bastonate di quante riesce a piazzarne. La sua è quasi una missione suicida, guidata dallo spirito di vendetta che prevale su quello di conservazione. L’umanità del personaggio è fondamentalmente la chiave per renderlo empaticamente vicino allo spettatore, non un super-uomo ma un poveraccio (in tutti i sensi) che ha una missione da portare a termine solo per una personale voglia di rivalsa.

Che poi, si tratta di una rivalsa universale, quella dei poveri e degli oppressi contro il potere precostituito. Infatti, da contesto alla nostra storia c’è una corsa alle elezioni con la sicura vittoria di un fantomatico Partito Sovrano il cui Presidente candidato è un burattino nelle mani dei villains contro cui Kid deve scontrarsi. Un partito militarizzato nato dalla speculazione edilizia, dal sangue dei più deboli e dalla manipolazione della fede, non a caso la grande mente dietro tutto è un Santone trascinatore di folle e magnate dei mass media. Tematiche eversive, seppur trattate con l’ausilio della fantasia, che stanno anche causando qualche difficoltà alla distribuzione in India del film e che, probabilmente, sono alla base del rifiuto di Netflix nell’acquisizione.

Monkey Man, però, non è solo critico verso l’induismo, anzi prende proprio dalla religione la sua essenza più nobile. La maschera da combattimento del protagonista è ispirata al mito di Hanuman, l’uomo-scimmia tra le figure più importanti del poema epico indiano Ramayana, simbolo di saggezza, onestà, giustizia e forza. Il film si apre proprio con il racconto di Hanuman e rappresenta il leitmotiv di tutto il vissuto di Kid; ma in Monkey Man ha un ruolo fondamentale anche una comunità di trans dediti al culto di Shiva, il dio bivalente metà uomo e metà donna, osteggiati da Partito che aiutano il protagonista nella riscoperta delle sue radici e nella sanguinosa vendetta finale.

Scandito da un’azione quasi ininterrotta composta da interminabili macro-sequenze, Monkey Man punta moltissimo sulla spericolata sequela di combattimenti e inseguimenti, conditi di efferatezze varie che sono ormai immancabili in certi action per adulti.

Al suo esordio dietro la macchina da presa, dunque, Dev Patel convince e mostra una personalità insospettabile, che se coltivata potrebbe offrirci molti motivi di soddisfazione. Certo, Monkey Man non è un film facilissimo da vendere al pubblico mainstream occidentale, ma gli appassionati di action scavezzacollo troveranno senz’altro pane per i loro denti.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Una scatenata sequela di scene d’azione gestite con una grande personalità registica.
  • Dev Patel funziona benissimo in un ruolo inusuale per lui.
  • Un film dalla parte degli oppressi che affronta il tema del potere e della religione in modo abbastanza audace.
  • La storia è molto simile a quella di tanti altri action/revenge.
  • Alcuni momenti d’azione concitata sono visivamente e coreograficamente confusionari.
VN:R_N [1.9.22_1171]
Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
VN:F [1.9.22_1171]
Valutazione: 0 (da 0 voti)
Monkey Man, la recensione, 7.0 out of 10 based on 1 rating

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.