I Peccatori, la recensione

Me and the Devil Blues è una delle più note ballate blues di uno dei più noti bluesmen della storia, Robert Johnson. L’artista in questo brano immaginava un suo incontro con il Diavolo, quando quest’ultimo era tornato a reclamare la sua anima.
“When you knocked upon my door – And I said, “Hello Satan” –
“I believe it’s time to go” – Me and the Devil – Was walkin’ side by side”.
Uno dei testi che hanno alimentato la leggenda di questo grande artista che, si dice, avesse venduto la sua anima al diavolo a un crocevia per ricevere il talento musicale.
Ma il legame tra il blues e il Maligno è risaputo e precedente alla comparsa sulle scene del noto chitarrista e cantautore, non a caso il Blues è considerato storicamente “la musica del Diavolo”. Probabilmente era una semplice questione di estremo bigottismo da parte degli ambienti religiosi del Sud degli Stati Uniti dove le sonorità “stonate” del blues erano viste come terreno fertile per il Diavolo, o meglio, tutto quello che si estendeva al di fuori del gospel non era visto di buon occhio dalla comunità. Fatto sta che oltre al suo valore artistico e sociale, all’essere stato eletto il canto del dolore e della voglia di riscatto, questo genere musicale che nasceva nei campi di cotone del Delta del Mississippi è stato spesso associato alla fascinazione per il Male.
Con un encomiabile raccordo tra generi e racconto, Ryan Coogler trova una strada molto affascinante per fare un film sul blues andando a scavare proprio nel torbido dei suoi elementi più esoterici e folkloristici e con I Peccatori dà vita a un horror che, pur rubacchiando qua e là, si presenta con una veste d’insieme davvero singolare.
I fratelli gemelli Smoke e Stack (Michael B. Jordan) tornano nella loro città natale, Clarksdale nello Stato del Mississippi, dopo essersi costruiti una carriera criminale a Chicago. Nella metropoli le cose non sono andate come sperato e, colmi di alcool fino alla cima dei capelli, i due decidono di aprire un Juke Joint in una vecchia segheria per poter offrire alla loro gente un luogo dove bere, ballare e ascoltare buona musica.
Obiettivo fondamentale dei gemelli è trovare le persone giuste per lavorare nel locale e mettere insieme una band da far suonare alla serata inaugurale. La scelta musicale cade sul cugino Sammie (Miles Caton), chitarrista di talento e figlio del reverendo locale, e Delta Slim (Delroy Lindo), una sorta di leggenda del blues della zona, a cui si unisce come voce l’avvenente Perline (Jayme Lawson).
Tutto è pronto per inaugurare il locale, ogni cosa sembra perfetta, ma un uomo bianco misterioso (Jack O’Connell) si dirige verso l’ex segheria insieme a una coppia che ha appena soggiogato sotto il suo influsso malefico: è un vampiro, attratto dal blues che si suona lì, e intenzionato a far passare una nottata da incubo a tutti gli ospiti del Juke Joint.
Avete presente quel capolavoro di Dal tramonto all’alba, giusto? Pensate a I Peccatori come una variante blaxploitation del cult di Robert Rodriguez, con tanta, tanta musica. Il giochino narrativo è il medesimo messo in piedi dalla sceneggiatura di Quentin Tarantino, ovvero partire da una trama crime (due fratelli criminali, che stavolta, però, cercano di fare la cosa giusta), ben amalgamata a un retroterra culturale preciso, e farla deflagrare in un horror truculento a base di vampiri. Non si tratta di un vero e proprio twist narrativo perché Ryan Coogler decide di anticipare tutto con un’introduzione che mette in evidenza già gli esiti della vicenda e ci porta poi a “un giorno prima”, ma l’ossatura del film è chiaramente ricalcata su quella dell’opera di Rodriguez.
La particolarità de I Peccatori, però, è che pur mostrandosi come un crime/horror, in realtà, si tratta di un film sul blues. Il motore che spinge ogni frame è proprio la musica, la voglia di raccontare l’importanza di questo genere musicale per la comunità afroamericana, la forza che il blues ha per evocare il dolore e allo stesso tempo esorcizzarlo, attirare il Male e combatterlo. È un discorso molto concettuale ma Coogler riesce a metterlo in scena con grande maestria dando molto spazio proprio alla musica che avvolge tutta l’opera.
Ci sono diversi momenti in cui le canzoni, le chitarre, l’armonica sono protagoniste, ma non pensate a un musical, non c’entra nulla. La musica è sempre utilizzata in quanto tale e torna più e più volte proprio perché il protagonista la utilizza come mezzo d’espressione, quasi come accadeva nel seminale Il fantasma del palcoscenico di Brian De Palma. Tra l’altro, è stato fatto un lavoro magnifico sulla colonna sonora curata da Ludwig Göransson (già artefice delle musiche di Black Panther, Creed, Tenet, Oppenheimer), che unisce più sonorità – con predilezione per il blues classico, ovviamente – in un andirivieni temporale esplicitato visivamente dal suggestivo pianosequenza in cui i diversi generi musicali ‘black’ appartenenti a epoche differenti si riuniscono in un’unica sala da ballo.
Anche a livello di regia Coogler dà il massimo ingegnandosi in diverse soluzioni visive che vanno a supportale la colonna sonora e creano un particolare dinamismo, senza mai negare all’occhio dello spettatore un certo gusto per la violenza splatter che, soprattutto nella seconda metà del film, si presenta abbondante e furente come il rosso cartoonesco del sangue che zampilla dalle ferite. Ma Coogler non si nega neanche il gusto per la citazione e qua e là vediamo far capolino l’omaggio a John Carpenter per quanto riguarda la situazione d’assedio, che ricorda il grande classico Distretto 13 – Le brigate della morte, e poi diventa esplicita quando i protagonisti si impongono di masticare uno spicchio d’aglio per scoprire chi tra di loro è un vampiro sotto copertura, chiaro riferimento alla scena del sangue in La Cosa.
Un film horror, un crime sul post-proibizionismo, un film sul blues… dunque, cosa manca? Da buon esponente del blaxploitation, I Peccatori deve anche parlare della comunità afroamericana e lo fa inquadrando il problema razziale in quel preciso momento storico, ovvero gli anni ’30 del ‘900.
La schiavitù era stata abolita da quasi settant’anni ma il Delta del Mississippi era comunque testimone di una comunità che si spezzava la schiena nei campi di cotone e viveva lontana dai bianchi. Aleggiava ancora il fantasma del Ku Klux Klan, lo spauracchio della superiorità della cosiddetta “razza bianca”, e questo condizionava irrimediabilmente la vita dei neri, la loro “esclusività”. Coogler ci immerge in questo contesto senza calcare troppo la mano sull’aspetto razziale, come avrebbe fatto, ad esempio, un Jordan Peele, ma l’esser neri nel Mississippi del 1932 è un dato fondamentale per tratteggiare personaggi ed evoluzioni della trama, fino a un’appendice che prima di tornare sulla musica, sulla leggenda di Robert Johnson, ci mostra proprio uno scontro all’ultimo sangue in cui la problematica della razza porta le pallottole a danzare e il sangue a fluire copioso.
Sicuramente I Peccatori non è un film facilissimo e adatto a tutti i palati, dietro una veste mainstream c’è un discorso autoriale molto marcato, e incastonato in un film horror a base di vampiri c’è un racconto più personale che si focalizza sul blues. Quello di Coogler non è sicuramente un film perfetto, si perde in lungaggini, ha un epilogo continuamente rimandato; ma è anche nelle sue imperfezioni che risiede la sua riuscita, nel prolisso primo atto che ci racconta in maniera puntuale tutti i personaggi fino a farceli conoscere alla perfezione e patire per loro quando un vampiro li azzannerà al collo.
Nella sua natura mutevole e stratificata, I Peccatori non solo è il film della maturità del suo già talentuoso autore, ma è tra i film di vampiri più riusciti degli ultimi anni e una delle opere sul blues più originali di sempre.
Roberto Giacomelli
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