La festa, L’occhio che uccide in un found-footage d’autore

Dopo Gli arcangeli e Appunti per la distruzione, Simone Scafidi – alla continua ricerca di innovativi linguaggi artistici – sperimenta una nuova forma di cinema: o meglio, acquisisce la tecnica oggi abusata del found-footage, la fa sua e la plasma secondo la propria concezione cinematografica. Nasce così La festa (2013), un found-footage d’autore al di fuori di ogni schema, un thriller/horror che però (come ogni film del regista) sfugge alla classificazione in un genere preciso per diventare qualcosa d’altro.

Prodotto dalle case di produzione Ardaco e Gagarin, La festa è innanzitutto rivoluzionario per il modo in cui è stato concepito: è infatti il primo film distribuito in modalità free e legale sul web, prima su Dailymotion e poi anche su YouTube, a puntate. Ma attenzione, non si tratta di una delle innumerevoli web-serie di oggi, bensì di un film vero e proprio (ne esiste anche la versione con montaggio unico, per la critica e i festival) suddiviso in dieci puntate: attualmente, è l’unico film di Scafidi (escluso Fulci for fake, in concorso in numerosi festival) non ancora distribuito in homevideo.

Scritto dallo stesso Scafidi, che come sempre è autore a 360 gradi, prende il via dalla scomparsa di una ragazza, Giulia Crespi (Micol Donghi), sparita insieme a nove amici durante una festa nella villa di uno di loro. Come avverte una didascalia, quanto vediamo – nell’immaginazione cinematografica – è un video ricevuto dai familiari a un anno esatto dal tragico evento: non sappiamo chi l’abbia realizzato, montato e spedito, sappiamo solo il titolo, “La festa”.

Dieci amici – sei ragazzi e quattro ragazze – si riuniscono nella villa di Fabio per una serata all’insegna di alcool, droga e sesso: Matteo (Niccolò Gentili), aspirante regista, porta con sé una telecamera con cui filma morbosamente tutto quanto accade. Il festino procede in modo più o meno tranquillo fino all’arrivo della misteriosa Andrea (Lavinia Longhi) e dei suoi tre amici: mentre uno di loro riprende a sua volta gli eventi, i quattro estranei sottopongono i ragazzi a giochi sempre più estremi e mortali.

La festa

La festa è un found-footage con tutti i crismi del genere, a cominciare dalle soggettive in pov (point of view) e camera a mano che costituiscono l’ossatura del film: ma anche le didascalie iniziali, le bande colorate che segnalano l’interruzione del video, le immagini talvolta disturbate, la schiera di personaggi destinati al massacro, le indicazioni orarie, la musica diegetica, addirittura l’alternanza di due pov – quello di Matteo, con colori più vividi, e quello del cineoperatore mascherato, con colori più slavati. Ma al contempo Scafidi con La festa scardina i meccanismi stessi del found-footage: li sbugiarda e li demistifica, attraverso un finale in cui viene rivelato come la componente soprannaturale sia in realtà una montatura, nonostante il linguaggio del thriller mantenga una propria coerenza e una forte suspense dall’inizio alla fine.

Perché La festa è un film che riesce a mettere disagio, accumulando mistero su mistero e una sensazione opprimente di pericolo indefinito: tanto nella vicenda dei ragazzi quanto in quella, montata parallelamente, dei genitori di Fabio (Cinzia Monreale e Karl Zinny, due volti noti del bis italiano), a loro volta assediati in casa da un inquietante intruso con una maschera di cartone. L’inquietudine serpeggia fin dall’inquadratura iniziale sul volto di Giulia, prosegue con l’alternanza dei due suddetti pov, e deflagra con l’arrivo degli ospiti indesiderati che trasformano La festa quasi in un home-invasion, ma sempre fuori da ogni logica “di genere”.

La festa

La bravissima Lavinia Longhi dà vita a un personaggio misterioso e perverso, così come la sua amica (Susanna Giaroli, che rivedremo in Eva Braun), il torvo “rosso” e il cameraman incappucciato. Voyeurismo, perversione e crudeltà imperversano in modo sempre più forte, attraverso un climax crescente di violenza che ritroviamo anche nei tre giochi: da una semplice gara di bevute a uno scambio di coppie, fino all’obbligo di uccidere un amico. E dentro la vicenda se ne innesta un’altra: un vecchio racconto di lotta tra fascisti e partigiani che rivive su un filmato trovato a sua volta in casa, e i cui protagonisti assomigliano in modo sinistro ai ragazzi della storia.

La festa è solo in apparenza estraneo alla trilogia ideale composta da Gli arcangeli, Appunti per la distruzione e il successivo Eva Braun: è un film diverso nello stile e nella narrazione, ma profondamente scafidiano nei contenuti. Innanzitutto perché solo un genio come Scafidi poteva plasmare l’elemento del found-footage per innestare un discorso più ampio sullo sguardo e sul Cinema: La festa è L’occhio che uccide di Michael Powell, è il Grande Fratello della televisione trasposto nella Settima Arte, è l’ossessione di un cinico regista che è disposto a tutto (anche a uccidere) pur di fare cinema, è la rappresentazione della bulimia filmica del protagonista.

La festa

Se vogliamo, La festa è per certi versi la quintessenza del cinema di Scafidi: nei suoi significati più profondi, troviamo il cinema come fonte di domande invece che di risposte, il meta-cinema (i tre superstiti che assistono alla loro morte in diretta sullo schermo, quasi un Cannibal Holocaust moderno), lo sguardo negato, che si traduce visivamente sia nell’inquietante immagine degli occhi vuoti e sanguinanti, sia negli occhi bendati durante il gioco erotico. Ma anche a livello narrativo, ne La festa c’è molto più Scafidi di quanto possa sembrare leggendo la trama: il protagonista ossessionato dal desiderio di fare un film proviene da Gli arcangeli, la rappresentazione delle perversioni umane è una costante di tutte le sue opere, il voyeurismo e i giochi morbosi torneranno in modo diverso ma con la stessa forza in Eva Braun, dove pure c’è una protagonista che sogna di fare la regista.

 Davide Comotti

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