Eden, la recensione

Tra le due Guerre, il dottor Friedrich Ritter fugge dalla Germania rinnegando i valori borghesi, sfiduciato dalla piega presa dalla politica e dalla società tedesca, e si rifugia sull’Isola di Floreana, nell’arcipelago delle Galapagos. Insieme a lui l’amante e discepola Dora Strauch, malata di sclerosi multipla.

Nel corso degli anni, Ritter invia alla stampa tedesca le sue lettere con le quali espone la sua teoria filosofica per gettare la basi di una nuova civiltà e millanta anche una miracolosa e repentina guarigione di Dora. Tra coloro rimasti affascinati dagli scritti del dottore c’è il veterano di guerra Heinz Wittmer, che decide di raggiungere Ritter insieme alla sua giovane moglie Margret e suo figlio Harry, malato di tubercolosi, con l’intento di trovare una cura per il ragazzo.

L’iniziale convivenza tra Ritter e Wittmer non è tra le migliori, ma con le dovute distanze il dottore accetta gli “ospiti”, il problema sopraggiunge con l’arrivo della sedicente Baronessa Eloise Bosquet de Wagner Wehrhorn e dei suoi servitori/amanti, intenzionata ad aprire un resort sull’isola.

Quella di Ron Howard è una delle carriere più variegate nella Hollywood contemporanea, un ottimo mestiere da sempre prestato al mainstream che ci ha reso nel tempo sirene, extraterrestri, storie nella Galassia lontana lontana, perfino il Grinch in un’apoteosi di scenari fantasy per famiglie che hanno lasciato il segno; ma anche storie d’immigrazione, allunaggi andati male, incendi spettacolari e letali, rapimenti, intrighi religiosi, balene bianche, corse automobilistiche e vite straordinarie. Insomma, se c’è un uomo a Hollywood che si trascina il retaggio del cinema classico e non si chiama Steven Spielberg, quell’uomo è Ron Howard. Con Eden c’è un ulteriore tentativo di esplorare i generi e ramificare le suggestioni narrative con un piglio meno hollywoodiano e molto meno consolatorio in confronto al passato.

Eden, infatti, deriva da una storia vera che si è svolta negli anni ’30 del ‘900 quando un gruppo di coloni europei andò ad abitare l’Isola Floreana con esiti abbastanza tragici. Come ci informa una didascalia in apertura film, quello che vedremo è la testimonianza dei sopravvissuti. E infatti, la sagace sceneggiatura di Noah Pink (che aveva scritto il film Apple sulla nascita di Tetris) ci offre diversi punti di vista sulla vicenda, ma con uno sguardo comunque onnisciente che permette allo spettatore di trarre le sue conclusioni senza eccessiva ambiguità.

Siamo nei territori del survival thriller, ma l’approccio a questo filone ben riconoscibile è particolare, affidato a una lotta psicologica invece che fisica. Eden, infatti, pur incarnando tutti i topoi del cinema avventuroso, è un film “seduto” che predilige le dinamiche d’interazione tra i personaggi invece che l’azione e, incredibilmente, questa scelta è vincente e dona una gran personalità al film conservando comunque un invidiabile ritmo.

Questo accade perché narrativamente Eden si evolve di continuo e non c’è un solo minuto in cui non accada qualcosa. Ovviamente la sceneggiatura è strutturata su un crescendo, in cui l’arrivo progressivo di ospiti sull’Isola di Floreana non fa altro che portare la situazione verso un inevitabile conflitto, che esplode ben presto con il palesarsi della molesta “baronessa” interpretata da una magnifica Ana de Armas, attrice non solo bellissima ma di grande talento ed estrema versatilità.

L’esplosione della violenza nel terzo atto è ampiamente annunciata già nella scena estrema del parto di Margret mentre è minacciata da un branco di cani feroci e derubata dei suoi viveri, un momento davvero drammatico e di altissima tensione che sottolinea la bravura e l’intensità di Sydney Sweeney, nuovamente alle prese con un parto “difficile” dopo l’incredibile finale di Immaculate.

Il terzetto di talentuose attrici che popolano Eden è completato da Vanessa Kirby nel ruolo di Dora, più in ombra in confronto alle colleghe ma alle prese con un personaggio fondamentale agli esiti dell’intera vicenda. Il cast maschile è invece rappresentato da Daniel Brühl e Jude Law, ma è soprattutto quest’ultimo, nel ruolo del dottor Ritter, a giganteggiare grazie a un personaggio complesso e affascinante a cui l’attore britannico dà tutto se stesso.

Un po’ Cuore di tenebra, un po’ Il signore delle mosche, Eden si prodiga abilmente nel costruire un ritratto gretto e meschino dell’essere umano e non è da meno il fatto che la vicenda si svolga nel periodo subito precedente al Terzo Reich. Ritter, aspirante Kurtz ma con una megalomania meno accecante, sogna un Regno di solitudine dove essere il Dio di se stesso e divulgare la sua filosofia riformista; la megalomania appartiene però alla personalità della Baronessa Eloise, manipolatrice, vanesia ed egocentrica che sogna l’immortalità come il protagonista del romanzo che vanta di amare, Dorian Gray. Seppur intento a sfuggire dalla violenza dilagante, Ritter vedrà quella violenza raggiungerlo e contagiarlo come una malattia, perché l’essere umano quella violenza ce l’ha dentro e seppur sopita è destinata a destarsi, ad essere innescata.

In mezzo a un branco di umani rabbiosi che imbracciano fucili e sventolano coltelli, l’unica anima candida sembra essere Margret, molto più matura della sua giovane età, neo-madre che ha conosciuto cosa vuol dire il sacrificio e pronta a scontrarsi con la perfida irrazionalità umana, anche di chi considera complice. Quello interpretato dalla Sweeney è l’unico personaggio positivo che popola Eden, il fondamento su cui costruire l’utopistica società di Ritter.

Eden è un film complesso, ricco di sfumature, con personaggi ottimamente costruiti e interpretati con evidente trasporto. La fredda accoglienza ricevuta dalla critica USA e anche alla prima italiana avvenuta al Torino Film Festival ci dice come siamo entrati in uno sconfortante meccanismo per cui al cinema avventuroso hollywoodiano si chiede solo un prodotto omologato e baracconesco, perché tentare la strada dell’opera adulta e seria che richiede un minimo di impegno intellettivo da parte dello spettatore rischia di andare incontro al disinteresse generale, nonostante il cast all stars. Peccato, Eden merita.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Ana de Armas, Jude Law e Sydney Sweeney sono fantastici.
  • Affronta il survival thriller con originalità evitando i cliché del genere.
  • È avvincente e interessante anche se non è un film avventuroso in senso stretto.
  • Il senso dell’intrattenimento è dato dalla scrittura e dall’evoluzione dei personaggi; quindi, se vi aspettate un altro tipo di film d’avventura potreste rimanere delusi.
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Valutazione: 7.5/10 (su un totale di 2 voti)
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