Quella casa nel bosco, la recensione
Cinque ragazzi ricevono in prestito una baita in montagna dal cugino di uno di loro per passare un weekend di divertimento sfrenato. Giunti sul posto, tutto sembra normale e la casa accogliente, ma qualcuno li osserva da un sistema di videocamere a circuito chiuso seminato in tutto l’edificio. Questo qualcuno vuole spingerli a tutti i costi in cantina e quando i cinque vi scendono attirati da una botola che si spalanca all’improvviso, comincia una lunga notte di terrore in cui tutti i peggiori incubi diventeranno realtà.
È molto difficile parlare di Quella casa nel bosco a lettori che potenzialmente non abbiano ancora visto il film. I trailer dicono molto poco e sembrano mirati a confondere le idee degli spettatori con il classico effetto del “ma di cosa tratterà questo film?” e anche la trama su riportata non è affatto esplicativa. Anzi, a una prima impressione potrebbe sembrare il solito film che segue la strada del teen slasher alla Venerdì 13 o la lezione impartita da Sam Raimi con La Casa e infatti lo sceneggiatore e regista Drew Goddard gioca proprio con queste aspettative e con una serie di luoghi comuni mirati a strizzare l’occhio allo spettatore appassionato e spesso smaliziato. Ovviamente, Quella casa nel bosco non andrà a seguire né l’Evil Dead raimiano ne serial killer con maschere da hockey, ma virerà in territori inimmaginabili costruendo quello che alcuni miei colleghi hanno definito, probabilmente a ragione, “il film horror definitivo”. Vi sembrerò esagerato, ma dopo aver visto Quella casa nel bosco davvero viene difficile pensare a direzioni nuove che un film dell’orrore potrebbe prendere perché Goddard è riuscito nell’impresa titanica di mettere nel suo film tutto, la storia dell’horror in pratica, in uno zibaldone divertente e appassionante che spesso e volentieri lascia a bocca aperta lo spettatore.
Pensate a cosa fu Scream nel 1996, un film che giocava con il cinema per costruire una propria specifica personalità. Ecco, Quella casa nel bosco si prefigge più o meno un obiettivo simile, escludendo però il citazionismo (almeno non quello diretto) e la componente metafilmica. L’abilità di Goddard sta nel riempire il suo film di luoghi comuni (i cinque ragazzi aitanti tra cui la vergine, l’atleta, la bionda oca, l’intellettuale e il fattone, il luogo isolato e maledetto, il bosco da cui arriva la minaccia, etc.) ma utilizzarli per scopi ben precisi che sono assolutamente indispensabili alla vicenda (e tutti motivati!), trasformando così i cliché in elementi narrativi a tutto tondo. Anche la minaccia che perseguiterà i protagonisti nasce dall’improbabile banalità dell’immaginario horror per trasfigurarsi in una moltitudine iconografica del cinema e letteratura di genere. Giunti ad un certo punto della storia, quando la botola della cantina si è aperta e un braccio è fuoriuscito all’improvviso dal terreno all’esterno della baita, citando visivamente ed esplicitamente La Casa, le cartucce del volutamente già visto sono esaurite e comincia una vera e propria fiera dell’imprevedibile che riesce perfino a pescare dall’immaginario di Clive Barker e Howard Phillips Lovecraft. Le carte in tavola cambiano di continuo e in particolare gli ultimi 20-25 minuti del film vanno in una direzione che forse tutti noi da bambini abbiamo immaginato fantasticando le trame dei nostri giochi, ma che nessuno in concreto ha mai osato portare sul grande schermo.
Altro punto a favore di Quella casa nel bosco è aver voluto fornire un punto di vista alternativo sulla vicenda, che non si limita, dunque, ai cinque giovani stereotipi da horror, ma aggiunge un manipolo di “impiegati” che fin dall’inizio contribuiscono a confondere le idee dello spettatore. Questo espediente contribuisce a rendere teorica e allo stesso tempo partecipe l’avventura dei cinque amici in vacanza, creando una metafora dell’atto creativo (nel cinema horror) e così da allontanare una volta per tutte l’accusa di “solito film” che qualche spettatore potrebbe muovere a Quella casa nel bosco nei primi minuti dall’inizio.
Drew Goddard qui esordisce con estro dietro la macchina da presa, ma la sua esperienza nel campo audiovisivo arriva dalla scrittura di serie cult come Buffy, Alias e soprattutto Lost – da cui forse si intravedono sprazzi di influenze narrative -, oltre che il bellissimo Cloverfield. Ma nell’operazione Quella casa nel bosco, che è entrato in lavorazione diversi anni prima dell’uscita e ritardato dall’idea, poi sfumata, di presentare il film in 3D, fa parte anche Joss Whedon, il papà di Buffy, Firefly e Dollhouse, nonché regista del marveliano The Avengers e della sua controparte DC Justice League, che figura come co-sceneggiatore e produttore. Il cast alterna volti noti al pubblico come Richard Jenkins e Chris Hemsworth a sconosciuti (o quasi) perfettamente pertinenti ai ruoli, come la deliziosa Kristen Connolly, la bionda che garantisce la dose di nudo Anna Hutchinson e lo strafatto Fran Kranz. In un cammeo compare anche Sigurney Weaver.
Goddard ha realizzato davvero un gran film: ben scritto e con delle idee originali, se non addirittura geniali… e l’originalità, di questi tempi, è davvero il bene primario più raro al cinema.
Quella casa nel bosco è un manualetto sul cinema dell’orrore in cui con ironia e soprattutto intelligenza si riflette su questo cinema e sulle dinamiche narrative che genera e da cui è generato. Non semplice citazionismo ma sagace elaborazione di materiale narrativo amplissimo, mirato alla creazione di un prodotto fresco e coinvolgente.
Imperdibile!
Roberto Giacomelli
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