Benedetta follia, la recensione

A 67 anni suonati (portati benissimo), Carlo Verdone si guarda allo specchio e vede se stesso di trent’anni fa, o meglio uno dei suoi magnifici personaggi, il coatto motorizzato che è un po’ Oscar Pettinari di Troppo forte e un po’ il fittizio Manuel Fantoni di Borotalco che lo deride con aria di sfida facendogli notare che per lui il tempo è passato.

Guardate com’eri, guardate come sei… me pari tu zio!”. La battuta messa in bocca al personaggio interpretato da Angelo Bernabucci in Compagni di scuola viene praticamente automatica ai fedeli del regista e attore romano, tanto che quella scena clou nel bagno di una discoteca in Benedetta follia, ultimo film scritto, diretto e interpretato da Carlo Verdone, è immediatamente leggibile come una riflessione su se stessi e sulla propria carriera.

Uno dei temi al centro di Benedetta follia è proprio la nostalgia per il passato, inteso come gioventù e come stabilità famigliare, un passato che non può tornare ma inesorabilmente infesta la vita di Guglielmo, sessantenne romano, ex biker che ora lavora in un negozio di articoli religiosi ereditato dal padre. La grigia routine di Guglielmo viene stravolta dalla confessione di sua moglie Lidia, che si è scoperta lesbica e si è fatta l’amante, che non è altro che la commessa nel negozio di Guglielmo. Colto da una profonda crisi, l’uomo deve affrontare il divorzio e cercare una nuova commessa, finché gli si presenta Luna, una ragazza di periferia dai modi eccentrici e l’aspetto ben poco adatto a un negozi di oggetti sacri. Malgrado la palese reticenza di Guglielmo, Luna riesce a farsi assumere in prova per un mese e durante questo periodo la quotidianità dell’uomo si accende di quella vitalità che si era persa da tempo.

Ogni elemento in Benedetta follia suggerisce di andare avanti, non voltarsi a piangere sul passato, e l’entrata in scena del personaggio di Luna, interpretata dall’Ilenia Pastorelli rivelazione di Lo chiamavano Jeeg Robot, sembra spingere proprio verso il cambiamento, la svolta.

Il nuovo film di Verdone, in realtà, di nuovo ha ben poco e si assesta sulla qualità media degli ultimi lavori del regista. Anzi, se vogliamo essere precisi e valutare Benedetta follia all’interno del secondo blocco di produzioni verdoniane Filmauro, questo nuovo film appare più riuscito di Sotto una buona stella (2014) e L’abbiamo fatta grossa (2016), ma non raggiunge l’equilibrio di scrittura e la sinergia attoriale che c’era in Posti in piedi in Paradiso (2012).

Nelle intenzioni della produzione c’era innanzitutto quella di svecchiare la formula del “film di Verdone” e, come primo passo, all’attore romano sono stati affiancati due nuovi sceneggiatori, Nicola Guaglianone e Menotti, entrambi già impegnati per il già citato Lo chiamavano Jeeg Robot. Giustamente i due sceneggiatori si approcciano con grande rispetto alla personalità di Verdone e Benedetta follia si inserisce nella sua filmografia con quella naturalezza e coerenza che ne è allo stesso tempo croce e delizia.

Croce perché se si cercava un modo per svecchiare la filmografia di Verdone così non si è trovato e Benedetta follia si conforma un po’ stancamente a una formula ormai usurata in cui si parla di famiglia, di crisi della stessa e le situazioni divertenti nascono principalmente dallo scontro generazionale (soprattutto nell’accezione tecnologica). Allo stesso tempo, però, se Benedetta follia nel complesso funziona e possiamo considerarlo un film riuscito è proprio perché si tratta di un Verdone d.o.c., riconoscibile e divertente nei termini in cui Verdone diverte da sempre il suo numeroso e affezionato pubblico. E quei tentativi di “originalità” come la (troppo lunga) scena onirica con coreografia stile Lady Gaga stonano, anzi disturbano nella coerenza narrativa e visiva del film.

Numerose sono le trovare genuinamente comiche, quasi tutte relegate agli appuntamenti al buio di Guglielmo con le donne conosciute sui social network, come la divertentissima sequenza in compagnia dell’alticcia Elisa Di Eusanio o l’esilarante scena del cellulare con Francesca Manzini, che probabilmente entrerà nella storia verdoniana come tra le più comicamente trash. Notevole l’apporto comico e recitativo dato da Ilenia Pastorelli, che sembra nata per interpretare un personaggio in un film di Verdone, e la sua Luna così svampita e coatta è il vero motivo d’essere di Benedetta follia, un ruolo che le sembra davvero cucino addosso. Da segnalare nel cast anche l’ottima Maria Pia Calzone, ex Donna Imma di Gomorra – La serie, qui impegnata nel ruolo dell’infermiera corteggiata da Gugliemo.

E quindi Benedetta follia ci convince pur volando tra alti e bassi, un film tanto convenzionale da piacere proprio perché è un Verdone d’antan, consapevole dei suoi limiti (e la profetica scena allo specchio è una dichiarazione d’intenti palese) e quindi ancorato alla tradizione, che però riflette anche una certa stanchezza da parte del comico romano, che cavalca la cresta dell’onda da ormai quarant’anni e forse avrebbe bisogno di confrontarsi con altro, non essenzialmente la comicità.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • C’è tutto il Verdone che ha cresciuto due generazioni di spettatori e questo ci piace!
  • Alcune situazioni sono talmente comiche da far letteralmente piangere.
  • Ilenia Pastorelli sembra essere nata per interpretare un film di Verdone.
  • Alcuni tentativi di svecchiamento sono brutti, concettualmente e visivamente, come la scena della coreografia onirica.
  • Si percepisce la stanchezza di Verdone nel dover far ridere.
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Benedetta follia, la recensione, 7.0 out of 10 based on 1 rating

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