Colonia, recensione

Riuscire a trovare il giusto compromesso tra racconto storico e intrattenimento rappresenta da sempre una delle più grandi sfide per i registi di ogni epoca, intimoriti dal rischio di far pendere i propri film da una parte piuttosto che dall’altra e di confezionare prodotti noiosi o, al contrario, troppo di genere e poco attenti al contesto sociale e politico in cui è ambientato. Di esempi positivi se ne possono fare tanti, su tutti va citato il recente Argo, e da oggi va ad aggiungersi a questa lista con pieno merito Colonia, il nuovo film di Florian Gallenberger che racconta uno spaccato molto duro e tragico della dittatura in Cile del generale Pinochet.

Il regista tedesco, infatti, si sofferma sulla “Colonia Dignidad”, fortezza inespugnabile fondata dal predicatore laico tedesco Paul Schafer al cui interno avvennero torture e sevizie di ogni tipo che causarono la morte di decine e decine di persone. Un materiale di partenza sfruttato nel migliore dei modi e tradotto in un thriller avvincente, dai ritmi tutt’altro che lenti e ricco di sorprese.

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Santiago del Cile, 1973. Lena, giovane hostess della Lufthansa, si reca nella capitale sudamericana per raggiungere il suo fidanzato Daniel, un grafico pubblicitario che ha messo a disposizione le sue capacità per aiutare i gruppi rivoluzionari a favore di Salvador Allende. Proprio nel momento in cui la ragazza convince il suo amato a tornare in Europa, i militari guidati da Pinochet mettono in atto il colpo di stato e arrestano tutti gli oppositori tra cui anche        Daniel, che viene condotto nella misteriosa “Colonia Dignidad”. Lena decide così di entrare nella comunità di sua volontà per andare a salvare il suo ragazzo anche a costo di superare violenze di ogni tipo.

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Poco sopra si parlava di Colonia come di un film avvincente e di grande intrattenimento. Eppure, a volerla dire tutta, l’inizio non lascerebbe pensare ad un giudizio simile in quanto assistiamo a immagini di repertorio da puro film storico, i soliti monologhi politici da parte dei rivoluzionari e dialoghi sdolcinati fra i due innamorati. Con il passare dei minuti tuttavia Gallenberger, che è anche autore della sceneggiatura insieme ad Torsten Wenzel, abbandona tutti i preamboli sopra citati e mette su una storia caratterizzata da una tensione costante, violenza fisica e soprattutto psicologica circoscritta all’interno di ambientazioni tetre e desolate.

È proprio la Colonia, intesa sia come struttura che come comunità, a rappresentare il fiore all’occhiello del film per via dei mille cunicoli sotterranei che nasconde e per come sia in grado di rappresentare la metafora di un micro universo nel quale la fede religiosa è solo uno strumento per comandare e per imporre un regime dittatoriale al cui comando c’è il pastore Schafer.

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Altro grande merito del regista tedesco è la gestione del ritmo che si rivela più che convincente con il plot che prende sempre più quota fino ad arrivare a un finale tipico di un film di “genere” con inseguimenti, corse contro il tempo e un gioco di inganni che, seppur prevedibile e telefonato, riesce sempre nell’intento di trasmettere ansia nello spettatore.

Il film, poi, è ulteriormente valorizzato da un cast indovinatissimo e perfettamente calato nei propri ruoli. Oltre alle garanzie Emma Watson e Daniel Brühl, c’è da segnalare l’ottima interpretazione di Micheal Nyqvist nei panni dello spietato e disgustoso Schafer.

Al netto di qualche lieve difetto ed un inizio utile soltanto a fini preparatori, dunque, Colonia è da considerarsi un film di qualità e capace di riuscire nel suo scopo di intrattenere e far riflettere.

Vincenzo de Divitiis

PRO CONTRO
  • Ritmo veloce che non annoia mai.
  • La metafora della comunità è trasmessa alla perfezione.
  • Violenza fisica e psicologica che colpisce in pieno lo spettatore.
  • Cast indovinatissimo.
  • Un inizio lento e utile solo a fini preparatori.

 

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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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