Hunger Games: Il canto della rivolta – Parte 1, la recensione

Avevamo lasciato Katniss Everdeen disperata per aver perso Peeta Mellark, abbandonato dai rivoluzionari di Panem al suo destino nell’arena in cui si stava svolgendo l’edizione commemorativa degli Hunger Games. Un vero e proprio cliffhanger con il quale lo scorso anno si era concluso il fluviale secondo film tratto dalla saga di romanzi di Suzanne Collins, Hunger Games: La ragazza di fuoco. Adesso arriva la prima parte del capitolo conclusivo, Hunger Games: Il canto della rivolta, che annuncia da subito un netto taglio col passato e un doveroso passo in avanti nella saga fanta-avventurosa che ha lanciato il talento di Jennifer Lawrence.

Infatti, se si poteva rimproverare una cosa al comunque pregevole La ragazza di fuoco era questa sensazione di aver voluto intraprendere una direzione di stallo narrativo che portava a ripetere la situazione già descritta nel primo film. Con Il canto della rivolta, invece, si cambia completamente registro e si procede verso una naturale evoluzione dei fatti che forse avremmo già dovuto evincere dal capitolo precedente: niente arene, niente Hunger Games e niente concorrenti, piuttosto la rivolta degli abitanti dei Distretti, con scenari apocalittici e palesi richiami bellici.

In Hunger Games: Il canto della rivolta – Parte 1, Katniss è stata raccolta da Plutarch Heavensbee e dal Presidente Coin, che sono a capo della Resistenza, e l’hanno portata al sicuro nell’ormai distrutto Distretto 13, in una zona dove sono rifugiati i sopravvissuti agli attacchi ordinati dal Presidente Snow. Tra di loro ci sono anche la madre e la sorella di Katniss, nonché il suo ragazzo Gale. Dopo l’azione di rivolta compiuta durante i 75° Hunger Games, la ragazza è diventata il simbolo della rivoluzione, riconosciuta da tutti come la Ghiandaia Imitatrice e così Plutarch e Coin vogliono portare avanti l’immagine di Katniss per abbattere la dittatura di Capitol City. Ma la ragazza è, in primis, preoccupata per la sorte di Peeta, di cui non ha più notizie dall’arena, finché lo vede in TV, schierato contro i rivoltosi…hunger games il canto della rivolta immagine 1

Come ormai da tradizione, l’ultimo capitolo di una saga di successo, soprattutto se è di ispirazione letteraria, DEVE essere diviso in due parti. Ce lo hanno insegnato Harry Potter e Twilight, così accade anche ad Hunger Games. Siamo sicuri che questo sia dato dalla massiccia mole di eventi che l’ultimo romanzo ha da raccontare? Oppure è tutto dettato dalla voglia di prolungare la vita di un franchise e guadagnare il doppio con una sola produzione? Guardando questa prima parte di Il canto della rivolta si propende davvero molto verso questa seconda ipotesi perché, seppur vero che il grosso di Hunger Games sta tutto in questo capitolo, è anche vero che l’intera trilogia si sarebbe potuta tranquillamente tradurre in un unico film da tre ore senza che si perdesse nulla della storia generale. Infatti questa Parte 1 fornisce molto l’idea del “temporeggiare”: gli eventi sono dilatati, tutto è continuamente rimandato, ci si perde in dettagli, si decide di dare maggiore spazio a personaggi fino a questo momento marginali. Se da una parte tutto ciò è lodevole perché cresce il mito attorno ad Hunger Games, dall’altra viene naturale pensare che forse tutto ciò sarebbe stato più adatto a una trasposizione televisiva dei romanzi della Collins e, di conseguenza, è il ritmo a pagarne pegno, con un paio di ore di film che, stringi stringi, non dicono nulla di davvero fondamentale che non si fosse già percepito dai due film precedenti. Il canto della rivolta – Parte 1 è un enorme “coming soon”, una preparazione a quello che accadrà nella Parte 2 e che rappresenterà il vero climax di un’avventura cominciata nel 2012 con il film di Gary Ross.

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Però c’è un particolare fondamentale in Il canto della rivolta – Parte 1 che continua ad elevare la saga di Hunger Games ben al di sopra della stragrande maggioranza di questi film tratti da romanzi young adult, ovvero un’allegoria lucida e piuttosto intelligente dei giochi di potere che vivono nella società di ieri, oggi e – probabilmente – domani. In questo caso c’è la manipolazione della coscienza comune vista da due punti di vista differenti, i “giusti” e gli “ingiusti”. Se Capitol City cerca di placare gli animi dei rivoltosi utilizzando un simbolo della rivolta redento, ovvero Peeta, anche i ribelli fanno altrettanto, costruendo ad hoc la Ghiandaia Imitatrice con tanto di filmini propagandistici. Un’idea davvero azzeccata, quest’ultima, per spargere un minimo di ambiguità sui ruoli dei personaggi, come a voler ribadire che la sete di potere, al di là delle parti in gioco, porta sempre e comunque alla manipolazione dell’informazione.

Questo terzo Hunger Games cambia completamente struttura, si fa più drammatico (e parlato) dei precedenti, annullando il cuore avventuroso e diminuendo drasticamente l’azione, affidata per lo più alle escursioni dei personaggi nel mondo esterno per il confezionamento dei filmati propagandistici. Tutto ciò da vita a delle sezioni in stile film bellico che richiamano volutamente lo stile del reportage di guerra.

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Il cast, per lo più, è lo stesso dei film precedenti, a cui si aggiunge Julianne Moore nel ruolo del Presidente Coin e Natalie Dormer, che conosciamo perlopiù nel ruolo di Margaery Tyrell in Il trono di spade, che veste i panni di Cressida, la regista dei filmati sulla Ghiandaia Imitatrice. Maggior spazio per Plutach, interpretato dal defunto Philiph Seymour Hoffman (alla cui memoria il film è dedicato) e per il fidanzato “vero” di Katniss, Gale (Liam Hemsworth), anche se di fatto si tratta sempre di un poco interessante burattino nelle mani del fato, mentre Peeta (Josh Hutcherson) compare pochissimo, pur essendo il vero motore dell’azione.

Ora dobbiamo aspettare un anno per Hunger Games: Il canto della rivolta – Parte 2, così da scoprire come si concluderà una vicenda che con questo terzo film si è fatta senz’altro più matura, ma anche più tediosa e meno appassionante.

 Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Hunger Games viene portato a un livello narrativo più profondo e la storia si arricchisce di connotati ambigui e maturi.
  • Fortunatamente si è scelto di non replicare la struttura dei due film precedenti.
  • Si ha l’impressione che questa Parte 1 sia stata creata per prendere tempo in attesa della conclusione.
  • Gira, gira non racconta quasi nulla di nuovo in confronto al passato.
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