I May Destroy You – Trauma e Rinascita: il riso amaro delle survivors

L’acclamatissima Michaela Coel ci aveva già conquistati nel 2016 con la spassosa serie Netflix Chewing Gum in cui narrava le disavventure di una ragazza londinese from the block che cercava a tutti i costi di emanciparsi dalla famiglia bigotta trovando un fidanzato, e magari anche un lavoro. Ma è nel 2020 che l’autrice riesce a fare il grande salto e a sbancare ai British Accademy Television Awards, grazie alla sua nuova opera prodotta dalla HBO e finalmente disponibile su Now Tv: I May Destroy You. È in quest’ultima che tutti gli elementi narrativi presenti in Chewing Gum vengono trasmutati e ripresentati in una storyline che ha una cornice drammatica ma un soggetto girl power.

Arabella Essiedu (Michaela Coel) è tutto ciò che vorrebbe essere una Millenial: ha avuto successo su Twitter grazie ai suoi strali satirici e ha pubblicato un romanzo di successo; vari editori la rincorrono per potersi accaparrare i suoi pareri e, proprio come David Foster Wallace, è “costretta” -poveraccia- a trascorrere vacanze pagate all’estero solo per poter ulteriormente pontificare sulla decadenza dell’Occidente.

Al ritorno di uno di questi viaggi, dopo aver preso una cotta per uno spacciatore di Ostia Lido, decide di trascorrere una delle sue solite serate brave in uno dei pub più esclusivi di Londra ma qualcosa va storto; infatti, nonostante sia solita consumare alcool e droghe, la mattinata dopo ha uno strano mal di testa e dei ricordi perturbanti. Mettendo insieme i pezzi capisce che le è accaduto ciò che ogni mamma teme più di qualsiasi cosa: le hanno messo della droga nel bicchiere e ha avuto un rapporto sessuale con uno sconosciuto mentre era incosciente.

Da questa premessa a dir poco tragica comincia la vera trama, ovvero il percorso interiore che Arabella e i suoi amici di sempre Terry (Weruche Opia) e Kwame (Paapa Essiedu), dovranno affrontare per superare i rispettivi “mostri sotto al letto”.

Pregio maggiore di questa serie è che riesce a trattare con toni sobri ma anche ironicamente rassicuranti tematiche molto controverse che potenzialmente potrebbero suscitare dei trigger warning nello spettatore e quindi allontanarlo dalla visione; tuttavia era necessario che nella terza decade del terzo millennio si affrontasse la rinascita di una survivor in maniera rispettosa e possibilmente realistica.

Per quanto riguarda la rappresentazione possiamo innanzitutto notare che, nonostante la comprensibile presenza di scene ansiogene, la protagonista non è, non è mai stata e mai sarà, un modello di virtù che dopo la tremenda sciagura trascorrerà la vita a cercare di riacquistare un po’ di pace interiore sistemandosi con un bravo ragazzo e andando a vivere in una cooperativa equo-solidale dello Yorkshire. Arabella e i suoi splendidi amici sono animali notturni che adorano la vida loca dei foschi pub londinesi e tutte le attività ricreative che essi possono offrire, come sesso occasionale e le “sostanze rigeneranti”; lo scopo ultimo della rielaborazione del suo trauma è proprio quello di tornare alla sua indolente quotidianità, fatta di ritardi nella consegna delle bozze all’editore e hangover epici.

La trama principale riesce a toccare tanti micro-argomenti che ancora oggi suscitano opinioni discordanti sui social: è morale la vendetta privata? Le vittime possono diventare carnefici? È lecito sbagliare ogni tanto? Occorre davvero condividere tutte le proprie emozioni? Esistono vittime di Serie A e di Seria B? Si può perdonare il proprio aguzzino? Alcune violenze sono più gravi di altre? È interessante vedere come ciascuno dei personaggi principali, con le proprie nevrosi, possa apparire umano o dannato a seconda della focalizzazione. Ed è a tal proposito che occorre evidenziare quanto in I May Destroy You la cura per l’impatto visivo si spalmi addosso alla sceneggiatura: di notte, durante le ore di perdizione, la luce presenta delle sfumature che in maniera surreale richiamano quelle dei pub, mentre di giorno gli episodi negli uffici e nei centri di terapia di gruppo sono immersi in un’atmosfera gelida e asettica; metaforico è l’uso degli spazi: gli atti in cui protagonisti sembrano rievocare i propri momenti difficili avvengono in camere anguste, di conseguenza nelle sale pervase dai “salubri raggi solari” riescono a fare pace col proprio passato.

Solo per pochi invece è il palese omaggio alla Venere di Botticelli che avviene appunto nella scena di “rinascita” della protagonista.

Oltre a questi espedienti tecnici tanto cari alla HBO dai tempi di Euphoria, si segnala l’iconico uso dei costumi: come molte donne afro-discendenti, Arabella utilizza delle parrucche sintetiche, per poter essere sempre cool, ma non ci vuole Roger Ebert per capire che più essa porterà avanti la propria maturazione e più queste acquisiranno quasi il ruolo di maschere, capaci di far intendere cosa la protagonista abbia dentro la testa e non sulla testa.

Spertichiamoci in plausi anche per gli interpreti che hanno giustamente ricevute le candidature agli Emmy per il loro entusiastico stile recitativo da ghetto queen (Coel e Opia) o vanilla boy (Essiedu).

Tirando le somme potremo quasi dire che I May Destroy You mette in scena le peggiori paure della religiosissima madre della protagonista di Chewing Gum; potrebbe non diventare la serie tv favorita di molti ma resterà di certo nella memoria della serialità come la prima dramedy che si concentra sulla rinascita, mostrando come si possa riacquistare un po’ di meritata spensieratezza.

Ilaria Condemi de Felice

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