Lone Survivor, la recensione

Un grande successo, forse inaspettato, ha premiato Lone Survivor come una delle sorprese di questa stagione cinematografica statunitense. Il cinema bellico non sempre è una garanzia di successo e, se andiamo ad escludere casi ultra-pop come Bastardi senza gloria e la curiosità di una Bigelow post-Oscar di Zero Dark Thirty, si fa perfino fatica a ricordare un film a tema bellico che, negli ultimi anni, abbia realmente fatto levitare gli incassi al botteghino. Lone Survivor ci è riuscito e, con un budget di 40 milioni di dollari, nei soli Stati Uniti, ad oggi, ha incassato quasi 120 milioni.

Forse una spiegazione c’è, ed è l’intento celebrativo della pellicola diretta da Peter Berg, che si rifà all’autobiografia di Marcus Luttrell, che la gran brutta avventura narrata nel film l’ha davvero vissuta nel 2005. Marcus e i tre colleghi Michael Murphy, Danny Dietz e Matt ‘Axe’ Axelson vengono inviati sulle colline dell’Afghanistan occidentale per trovare e uccidere Ahmad Shah, spietato capo talebano responsabile della morte di molti marines. I quattro Navy Seals riescono ad individuare il bersaglio ma l’inaspettato sopraggiungere di alcuni pastori afghani e l’impossibilità di riuscire a comunicare con la base per nuovi ordini, getta nel panico i soldati, rendendoli ben presto facile bersaglio del nemico.

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Lone Survivor ha il chiaro compito di celebrare l’eroe americano per eccellenza, il Marine, il Navy Seal… insomma, l’uomo qualunque – adeguatamente addestrato – che difende il proprio Paese e la gente che lo abita dal terrore e dall’ingiustizia che aleggia su certe situazioni-limite, qual è quella che alberga in Medio Oriente. È un punto di vista estremamente patriottico e chiaramente ad uso e consumo degli USA, quasi alla stregua di quei film di arruolamento e propaganda che, negli anni ’40, prendevano il nome di Why We Fight. Peter Berg appare proprio come la persona più adatta ad occuparsi dell’operazione, visti i precedenti assimilabili di The Kingdom e Battleship.

Tuttavia, il risultato che è sotto gli occhi di tutti è anomalo e, in parte, cozza con gli intenti, facendo tirare un sospiro di sollievo allo spettatore che non sia un fervente repubblicano USA. Se l’intento di Lone Survivor è quello su descritto e dichiarato tanto da comunicati ufficiali che dalle didascalie che aprono e chiudono l’opera, quello che lo spettatore si ritrova invece a guardare è un action movie violentissimo e adrenalinico, che strizza l’occhio ai più moderni videogame di simulazione bellica.

Tutto comincia nel più classico dei modi, con la descrizione dei protagonisti attraverso piccoli elementi, brevi dialoghi, fugaci riferimenti. Una squadra di uomini e amici, prima che soldati, ognuno dei quali ha un motivo per tornare sano e salvo a casa, dove ad attenderlo ci sono mogli, figli e genitori. Insomma, Berg ci introduce la vicenda nel più classico dei modi, facendoci affezionare in pochi minuti ai protagonisti che hanno la faccia giusta dei bravi Mark Wahlberg, Ben Foster, Taylor Kitsch ed Emile Hirsch. Qualche momento aggiuntivo, per farci capire come quella guerra sia una sporca guerra, dove la vita delle persone non ha valore e le missioni omicide si trasformano spesso e volentieri in missioni suicide, che hanno il sapore di una sanguinosa vendetta o una puntigliosa prova di superiorità strategica. Poi si scatena l’azione, ossia l’inferno, in una lunghissima sessione di inseguimenti e sparatorie dal sapore quasi western che ci mostrano con divertita e morbosa intenzionalità tutto il dolore e il sangue che le armi da fuoco possono causare su un corpo umano.

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Berg ha giocato a Call of Duty e Battlefield e ci immerge in una mirabolante sessione di azione in tempo reale dove tutto è fin troppo realistico, seppur mostrato con grande spettacolarità. Sparatorie, esplosioni, capitomboli… c’è perfino una citazione a Platoon e poi tanta cruenta violenza che sfocia nello splatter: ogni morte è studiata, coreografata e mostrata, quasi si trattasse di un film horror.

Poi c’è spazio, ovviamente, per il punto di vista super partes in cui si mettono le mani avanti e ci viene mostrato come non tutti gli afghani siano assassini macellai, anzi, un preciso codice etico da rispettare da spazio a una riuscita storia d’amicizia. Ma dopo aver assistito a due ore di sbudellamenti e amputazioni, azione forsennata ed effetti sonori a go-go, sa quasi di cattivo gusto vedere una fin troppo lunga carrellata di immagini e didascalie commemorative in chiusura film. Sembra quasi che Berg abbia fatto il suo ottimo film d’azione violenta e poi qualcuno si sia sentito in obbligo di mettere la “toppa” per ricordare che quel film servirebbe a salutare l’esercito americano a piedi pari e mano sulla fronte.

Lone Survivor è dunque un grande film d’azione, forse il migliore che si sia visto negli ultimi anni, con l’intento di mostrarci l’orrore sul campo di battaglia, grazie a una regia ispiratissima e un manipolo di bravi attori. Però, l’operazione si presta bene anche alla facile stroncatura da film patriottico, ma ripulirlo di quell’intrusa cornice da film celebrativo gli dona molti punti e lo spettacolo è assicurato.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Regia solida e magnifiche scene d’azione.
  • Buone le scelte di casting, in particolare Ben Foster.
  • La violenza e la spettacolarità ne fanno un buon film bellico moderno.
  • L’intento celebrativo si lega male con l’impianto spettacolare e la violenza splatter.
  • Qualche minuto di meno nella prima parte avrebbe giovato all’opera nel suo complesso.
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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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