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La mia famiglia a soqquadro, la recensione
C’è una premessa surreale, originale e venata di paradosso alla base de La mia famiglia a soqquadro.
Il regista Max Nardari la materializza a partire da spunti personalissimi e il lavoro di sua madre Renea Nocchino Nardari Figli violati. Sei storie vere di coppie separate è indiscutibilmente un punto di partenza. L’attenzione è tutta sul bambino e su come l’esperienza del divorzio ne faccia l’oggetto inconsapevole di una battaglia combattuta sul crinale del rancore e dell’aridità emotiva.
Il tono, l’intonazione e la direzione del racconto sono quelli della commedia, della commedia leggera ad essere precisi, e d’altronde sarebbe piuttosto singolare definire altrimenti questo film. Eppure il cuore de La mia famiglia a soqquadro, se ride, ride di un sorriso velato da un’ombra inquieta di amara, amarissima tristezza. Esagerazione? Solo in parte.