Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità, la recensione

Willem Dafoe interpreta Vincent Van Gogh nel nuovo film diretto da Julian Schnabel. Non è la prima volta che il regista statunitense si cimenta in un racconto di vita, ma Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità (At Eternity’s Gate in originale) non è affatto un biopic sull’artista olandese. A Schnabel non interessano particolarmente gli eventi biografici in sé, qui addirittura ridotti all’essenziale, ma piuttosto il suo tormento interiore. Il regista, a sua volta egli stesso pittore, si identifica in Van Gogh e tratta il film come se fosse la tela su cui sfogare liberamente la sua creatività. In effetti l’intero lungometraggio è costellato di soluzioni sperimentali e non c’è un solo momento che non tenti l’innovazione sul piano visivo.

Siamo lontani dallo sperimentalismo del forse più riuscito di Loving Vincent, ma At Eternity’s Gate ha il pregio di restituirci uno sguardo soggettivo sul mondo. Ma è uno sguardo funzionalmente confuso, offuscato, malato come il suo protagonista, colto proprio negli anni del suo lento declino.

Fin dalla prima sequenza vediamo l’artista vagare per quegli stessi luoghi che ispireranno le sue composizioni. La sua solitudine è uno degli aspetti meglio esplorati da Schnabel e in esso sembra racchiusa tutta l’essenza di Van Gogh. Anche quando Dafoe condivide la scena con gli altri interpreti del film (Emmanuelle Seigner, Oscar Isaac, Mathieu Amalric e Mads Mikkelsen), l’attore sembrerebbe lavorare sull’isolamento emotivo del suo personaggio e l’altro viene ai suoi occhi percepito con distacco o con sospetto.

Separato da Gauguin e soccorso nelle avversità soltanto dal  fratello Theo, Van Gogh diviene nella versione di Schnabel un Faust in fuga dai propri demoni e alle prese con un difficile rapporto con i contemporanei. Una scena particolarmente toccante lo vede a colloquio con un confessore (Mikkelsen) che cerca di metterlo di fronte all’evidenza del cattivo gusto dei suoi quadri, un momento che acuisce ancora di più la sua già profonda crisi.

Ci sono diversi momenti interessanti in At Eternity’s Gate, sebbene non abbia dalla sua parte una sceneggiatura solida. Eppure il film ha il merito di farci scoprire il lato più intimo dell’artista al riparo da qualsiasi rappresentazione troppo “ufficiale”.

Il lavoro di Schnabel colpisce ed emoziona per tutta la sua durata, se non fosse per una chiusura un po’ troppo frettolosa. Tuttavia non lascia un’impronta indelebile nello spettatore. Questo è forse l’effetto di un’esperienza più sensoriale che narrativa, in cui il regista riprende l’approccio già impiegato nel ben più riuscito Lo scafandro e la farfalla. Contrariamente a quest’ultimo, At Eternity’s Gate non è però un lavoro a trecentosessanta gradi sul suo personaggio. Sorprendentemente Schnabel, pur scegliendo un materiale sulle sue corde, si perde in un massacrante misticismo dell’arte e della vita di Van Gogh. Tutti questi difetti non vengono però percepiti molto durante la visione del film, forse complice l’indiscutibile presenza scenica del suo attore protagonista.

Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità arriverà nei cinema italiani dal 3 gennaio 2019 distribuito da Lucky Red.

Claudio Rugiero

PRO CONTRO
  • Willem Dafoe in quello che sembra essere il ruolo della sua vita.
  • Ogni fotogramma trasmette qualcosa di nuovo su Van Gogh.
  • Esteticamente toccante.
  • Non c’è molta informazione: spesso sappiamo cosa sta passando il protagonista ma  non capiamo bene le sue ragioni.
  • Ѐ un film a breve effetto: sorprende e seduce sul momento, ma dopo qualche ora già si fatica a ricordarlo
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