Un re allo sbando, la recensione

“È bello essere il re”, ripeteva un compiaciuto Mel Brooks nella macrosequenza finale dell’esilarante La Pazza Storia del Mondo. Come contraddirlo?
Eppure non è dello stesso avviso Re Nicolas III (Peter Van Den Begin), protagonista dell’atipico road movie Un re allo sbando, scritto e diretto da Peter Brosens e Jessica Woodworth e presentato in concorso nella sezione Orizzonti di Venezia 73.

Il sovrano belga, ombroso e tormentato, è infatti in piena crisi esistenziale e riceve il colpo di grazia quando, durante una visita di Stato a Istanbul, viene raggiunto dalla notizia che la Vallonia ha dichiarato l’indipendenza. Tuttavia, disastrose coincidenze atmosferiche non contribuiscono a agevolare un repentino rimpatrio: una tempesta solare blocca qualsiasi via di trasporto e comunicazione. Ma Nicolas, conscio che sia il momento di impugnare con decisione le redini non solo del suo regno, ma soprattutto della propria vita, intraprenderà con il suo seguito una rocambolesca fuga, costellata da situazioni grottesche, incontri improbabili e occasioni di riflettere sul proprio ruolo nel mondo.

Un re allo sbando (al secolo, King of the Belgians), quarto lungometraggio di Woodworth e Brosens, è il riuscito racconto di un’insolita avventura attraverso i Balcani, in cui la catastrofe naturale si fa impetuosa metafora di un malessere metafisico e imperscrutabile; di un opprimente senso di smarrimento che tuttavia va affrontato affinché il sole torni a splendere.
Le interessanti premesse non vengono disattese nel corso dello svolgimento grazie anche al sostegno di validi comprimari, tra cui il Maestro del Protocollo Ludovic Moreau (Bruno Georis) e l’ex corrispondente di guerra Duncan Lloyd (Peter van der Houwen). Sebbene il focus del viaggio di formazione sia l’intima evoluzione della testa coronata, i personaggi di contorno arricchiscono e aggiungono piacevolmente colore con le proprie complessità e reazioni imprevedibili.

Più che percorso di formazione, sarebbe giusto parlare di liberazione, o quantomeno affiancare quest’ultimo termine al primo. Il film e le sue vicende ci parlano soprattutto di un gruppo di persone schiave del protocollo e dell’etichetta che, gradualmente, ritrovano con spontaneità il coraggio di affermare se stessi e le proprie velleità, spogliandosi con sollievo delle catene che fino ad allora hanno soppresso la loro identità. Lo stesso sfondo politico, apparente motore dell’azione, man mano sbiadisce per trasformarsi in ulteriore incentivo all’autoaffermazione.
È interessante come tematiche – e sottotrame – così seriose e delicate siano dipanate tra aneddoti deliziosamente ironici e divertenti, che comprendono effeminati travestimenti e litigiosa musica folk.

Un re allo sbando si lascia guardare volentieri e strappa più di un sorriso. L’unica pecca è la prevalente tendenza a una stasi scenica, un senso di sospensione perpetuo che, se da una parte comprendiamo essere funzionale a rispecchiare lo stato d’animo del protagonista, ostacola in più di una sequenza una scorrevole fruizione da parte dello spettatore.
Il film è in sala dal 9 febbraio, distribuito da Officine UBU.

Chiara Carnà

PRO CONTRO
  • Un originale road movie ricco di spunti di riflessione.
  • Cast affiatato e in forma.
  • Buona serie di trovate garbatamente ironiche e divertenti.
  • Il senso di statica sospensione che domina l’atmosfera del film, alla lunga, potrebbe annoiare.
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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Valutazione: +5 (da 5 voti)
Un re allo sbando, la recensione, 7.0 out of 10 based on 1 rating

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