Agnus Dei, la recensione

Donna, sorella, madre. Quale è l’ordine corretto da dare a queste parole? La regista francese Anne Fontaine cerca di risolvere questo dilemma nel suo ultimo film, Agnus Dei, presentato e applaudito all’ultimo Sundance Film Festival.

Nella Polonia del 1945, Mathilde, giovane medico francese della Croce Rossa, è l’unica speranza di salvezza per alcune suore incinte, vittime delle violenze dei soldati sovietici. La trama è ispirata alla vera storia di Madeleine Pauliac la quale scoprì l’orrore nei reparti di maternità e gli stupri all’ordine del giorno che interessavano anche i conventi.

La donna in quanto scelta, inteso come essere femminile e plurale, è l’interesse principale della regista. Anne Fontaine ha l’abitudine di osservare le donne sempre in situazioni scomode che tendono a rivelare la complessità dei ruoli imposti. Già nel patinato Two Mothers, la regista aveva portato a scontrarsi le figure di madre e amante, ma questa volta il discorso è molto più profondo e mette in relazione la maternità e la spiritualità.

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In un film d’epoca per costruzioni e atmosfere create, si fa strada una riflessione sull’abuso del corpo delle donne (nella Chiesa e fuori di essa) datata 1945 ma ancora tristemente attualissima. Data la portata emotiva dell’evento preso in considerazione, la prima metà della pellicola è fondata su una regia e una fotografia fredda e sobria, in cui il medico protagonista viene descritto con calma ma con attenzione. Inoltre, convincono le parentesi comiche con l’unico uomo del film, utili per smorzare la tensione accumulata nel corso del tempo.

Il film non parla semplicemente di una violenza, ma di un duplice danno causato a queste donne: allo stupro si accosta una ferita ancora più profonda che riguarda lo spirito e il rapporto che esse devono ricostruire con la loro fede. Si evita di mostrare l’atto brutale: siamo talmente abituati a vedere scene violente al cinema che la cosa veramente difficile è riflettere sulle conseguenze.  Le risposte sono molteplici  ed è importante la non unidimensionalità che caratterizza l’ambiente del convento. Le suore vivono tutte in maniera diversa questa drammatica esperienza, come se non esistesse un antidoto per il male ma solo un personale modo di reagire. Conciliare chi siamo con quello che ci succede,  insegnamento che proveranno a seguire tutti i personaggi avvicinandosi a importanti temi come il rapporto con il diverso da sé e la disobbedienza positiva.

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L’incontro tra Mathilde e Suor Maria è il cuore del film: inquadrate in formalissimi primi piani, le due donne mostrano l’essere femminile che si spinge oltre le differenze e si ritrova in un senso più universale di sorellanza. Per questo motivo, l’aiuto reciproco tra la dottoressa comunista, emancipata e così avanti rispetto ai tempi, e la suora fedele, fragile ma pragmatica, è il sentimento che guida il film nelle sue scene migliori, merito anche delle ottime prove recitative di Lou De Laage e Agata Buzek.

Anne Fontaine ha il coraggio di rivelare scomode verità sulla Chiesa, ma non lo fa con convinzione fino alla fine. Agnus Dei perde la sua compostezza in un finale eccessivamente buonista e conciliante che stona fortemente con il resto della narrazione.

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Anche se dalle ultime sequenze sembra di essere finiti in Sister Act, la regista riesce a raccontare la missione di una donna impegnata a salvare altre donne. Attenzione, donne e non semplicemente suore.

Agnus Dei sarà distribuito da Good Films dal 17 novembre a Roma e Milano e dal 24 novembre nel resto d’Italia.

Matteo Illiano

PRO CONTRO
  • Atmosfere da film d’epoca per raccontare un drammatico problema contemporaneo.
  • Lou De Laage e Agata Buzek convincono da sole ed emozionano insieme.
  • Svolta buonista e conciliante nel finale.
  • La seconda metà della narrazione perde la compostezza dell’incipit.
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Valutazione: 6.0/10 (su un totale di 1 voto)
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