Alabama Monroe – Una storia d’amore, la recensione
Elise e Didier sono due spiriti liberi, entrambi alla ricerca del proprio destino. Vivono la vita inseguendo i propri sogni e i propri interessi. Lei, che ama la pittura, gestisce uno studio di tatuaggi e ne ha il corpo ricoperto, perché è convinta che nella vita ci sia sempre qualche cosa che valga la pena mettere sul proprio corpo. Lui ama la musica bluegrass, il country nella sua versione più pura, fatta di sola acustica, e suona il banjo in una piccola band con la speranza di traferirsi in America, terra di sognatori e dalle opportunità infinite. Elise e Didier si sono incontrati per caso, si sono innamorati ed hanno iniziato a condividere vita e interessi. Il loro amore culminerà con l’arrivo di una figlia, Maybelle, inizialmente indesiderata ma pronta a divenire il centro del loro mondo. Ma quando, all’età di sei anni, Maybelle si ammala gravemente, quel “cerchio” perfetto creato da Elise e Didier viene a poco a poco a cadere in frantumi.
Candidato agli ultimi Academy Awards come miglior film straniero e, perciò, destinato a scontrarsi con il nostro La grande bellezza , che gli ha sottratto l’ambita statuetta, Alabama Monroe (in originale The Broken Circe Breackdown), prima di diventare un’opera cinematografica, era una pièce teatrale diretta e interpretata da Johan Heldenbergh.
Attraverso un interessantissimo lavoro operato sul montaggio, il film non gode di una struttura lineare e convenzionale. Tutte le fasi della storia d’amore tra Elise e Didier, così come le loro gioie e dolori, ci vengono raccontate attraverso un’insolita costruzione ad incastro che non prevede nessuna vera logica narrativa. La storia dei due protagonisti si dipana in maniera del tutto frammentaria, perché ciò che sorregge Alabama Monroe non è una storia forte da seguire dall’inizio alla fine, bensì le emozioni: vere fondamenta alla narrazione e linea guida dell’intero film.
Elise e Didier, interpretati magistralmente da Veerle Baetens e dallo stesso Johan Heldenbergh, hanno caratteri ed una formazione estremamente differenti fra loro: lui è un sognatore pronto ad ancorarsi, nel momento del bisogno, a teorie e principi decisamente concreti; lei, invece, che non ama credere che tutto sia destinato a una fine, preferisce rifugiarsi in un pensiero fatto anche di simboli e superstizioni. Sarà proprio questa loro diversità ad unirli ma, aalo stesso tempo, non tarderà a separarli nel momento in cui spiacevoli ed inattese difficoltà entreranno nella loro vita. La grave malattia della loro figlia darà vita a un aspro divario di pensiero fra ragione e religione, due temi indubbiamente forti che il film riesce ad affrontare sobriamente, senza mai sconfinare nel banale e senza mai assumere una posizione ben definita. La religione, così come la ragione, sono tematiche esistenziali utilizzate con intelligenza, non per veicolare ambiziosi messaggi, ma semplicemente per raccontare la “crescita” psicologica, che porterà inevitabilmente allo scontro, di due persone che, pur amandosi, non riescono a fare fronte insieme ad un ostacolo talmente grande che, anziché unirli, evidenzierà tutte le crepe del loro rapporto.
La malattia di Maybelle, inoltre, è utilizzata come “strumento” per indagare e riflettere sulle emozioni basilari che condizionano la vita di noi tutti: l’amore e il dolore. Un amore che riesce a legare due persone tanto differenti tra loro quanto simili, un uomo e una donna che, che per le loro scelte di vita, sono divenuti due outsiders agli occhi della società. Ma anche quell’amore incondizionato che scatta in un genitore verso il proprio figlio, indipendentemente dal fatto che sia stato concepito volutamente o meno.
Felix Van Groeningen, che dirige il film con mano ferma ed un certo gusto per l’immagine, si dimostra abilissimo nel raccontare una storia delicata che, nelle mani di chiunque altro, avrebbe potuto sprofondare facilmente in momenti retorici e lacrimevoli. Il tutto, invece, viene gestito con estrema professionalità e il film, pur trattando tematiche dure, ricche di scene crude che colpiscono dritto allo stomaco di chi guarda, riesce a “maneggiare” abilmente tutti questi elementi senza eccedere mai in nulla. Complice la bellissima sceneggiatura di Carl Joss che, oltre a riuscire a delineare in maniera sublime i due personaggi principali, riesce ad addolcire anche i momenti più duri grazie ad una scrittura attenta e carica di dialoghi efficaci e brillanti al tempo stesso. Ulteriore elemento protagonista è la musica. Sia Didier che Elise suonano in una piccola band che esegue brani di bluegrass e le loro canzoni non tarderanno a divenire un filo conduttore pronto a sottolineare tutti i temi chiave del film e, di conseguenza, a rivestire a tutti gli effetti una vera funzione narrativa e mai di semplice accompagnamento alle immagini.
Alabama Monroe è sicuramente un piccolo capolavoro. Un gioiello capace di emozionare, divertire, far riflettere e che sicuramente non può lasciare indifferenti.
Giuliano Giacomelli
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