In bici senza sella, la recensione

Riuscire a raccontare con arguzia e disimpegno una tematica attualissima e, per certi versi, drammatica come il precariato giovanile non è semplice. Ed è ancor più difficile farlo riuscendo anche a veicolare un sottotesto non banale. In bici senza sella, lungometraggio in sei episodi nato da un’idea dell’attore, sceneggiatore e produttore Alessandro Giuggioli, centra l’obiettivo sorprendendo e divertendo lo spettatore. Il film, in sala dal 3 novembre 2016, racconta storie grottesche, surreali eppure incredibilmente familiari. Protagonisti, una serie di italiani che, a modo loro, s’ingegnano per sfuggire alla crisi e ghermire l’agognata ma irraggiungibile chimera del ‘posto fisso’.

Alla regia dei vari episodi, sette esordienti – Giovanni Battista Origo, Sole Tonnini, Gianluca Mangiasciutti, Matteo Giancaspro, Cristian Iezzi, Chiara De Marchis e Francesco Dafano – che optano prevalentemente per un registro brillante e pungente. Ma senza trascurare illustri citazioni cinematografiche (I precari della notte, che ha ispirato il progetto, è uno stravagante omaggio al cult I Guerrieri della Notte di Walter Hill) o note più amare e malinconiche, pur prive di pietismi.

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Apre le danze Santo Graal, in cui due facchini si ritroveranno di fronte a una una scelta ai limiti dell’incredibile: accettare tra l’immortalità, anche se implica il rischio di rimanere precari in eterno? Bella prova per Riccardo de Filippis, già apprezzato in Romanzo Criminale – La serie e nell’esilarante cortometraggio virale Sotto Casa. L’attore conferma la sua innata propensione alla comicità e, grazie a comprimari di tutto rispetto, regala a In bici senza sella un inizio col botto.

Regala momenti di spassoso umorismo anche Curriculum Vitae, crudele e buffonesco specchio, con epilogo a sorpresa, sul destino dei laureati in Italia alle prese coi primi colloqui. Colpisce positivamente anche Crisalide, ottimamente interpretato da un’inarrestabile Emanuela Mascherini, nei panni di una donna che, pur di non rischiare il posto, nasconde un’inattesa gravidanza simulando obesità e problemi intestinali.

Il film mantiene un buon ritmo per la quasi totalità della sua durata, perdendo tuttavia di grinta nell’episodio Il Parassita. Quest’ultimo, più lento e meno coinvolgente degli altri cinque, probabilmente a causa di uno stile che lo rende disomogeneo e di un’ironia che non funziona, finisce per diventare nota stonata nell’insieme, malgrado la bravura dei protagonisti. A tal proposito, grande pregio della pellicola è la messa in campo di tanti nuovi talenti che è un piacere vedere sullo schermo.

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Oggigiorno il lavoro s’inventa’ si sogna, si rincorre. Non esistono sicurezze né soluzioni, proprio perché tutti pedaliamo per strade dissestate su una bici senza sella.
La metafora è scoraggiante, ma assolutamente adeguata e funzionale a un film che non vuol essere sterile fiaba consolatoria, bensì concreto e farsesco ritratto di una generazione che non si rassegna a vedersi rubare il futuro.

In questo senso, In Bici Senza Sella è una scommessa vinta che, armata di sano sarcasmo e di spumeggiante intelligenza, dipinge la drammatica realtà del mondo del lavoro in Italia come una ipnotica commedia degli orrori. Sinceramente consigliato!

Chiara Carnà

PRO CONTRO
  • È una riflessione inaspettatamente lucida, originale e divertente sul precariato italiano.
  • Dà l’opportunità a giovani attori e registi talentuosi di farsi conoscere.
  • non si limita a fare del facile umorismo, seppure efficace, ma propone un reale affresco di una situazione, a suo modo, tragica.
  • Un episodio meno efficace e godibile rischia di rendere il risultato disomogeneo.
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In bici senza sella, la recensione, 7.0 out of 10 based on 1 rating

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