Denti da squalo, la recensione

Il tredicenne Walter ha appena perso il padre Antonio, operaio vittima di un incidente sul lavoro. È estate, non c’è scuola, e il ragazzino vaga in bici sul litorale romano finché si imbatte in un’enorme villa disabitata, si intrufola e decide di farsi una nuotata nell’imponente piscina, rendendosi presto conto che lì “abita” uno squalo. Impaurito, Walter riesce a uscire in tempo prima di essere divorato dal feroce pesce ma rimane affascinato e decide di tornare, finché si imbatte in Carlo, adolescente che dice di essere il custode della villa, addetto a sfamare lo squalo. Da quel momento nasce un’amicizia tra Walter e Carlo che porta il ragazzino alla sua più grande avventura. Ma chi è il proprietario di quella villa e perché ha uno squalo in piscina?

Gli sceneggiatori di Denti da squalo, Valerio Cilio e Gianluca Leoncini, hanno spiegato in conferenza stampa che lo script del film ha visto luce quasi dieci anni fa, quando ha vinto il Premio Solinas dedicato alle sceneggiature cinematografiche ed è stato scelto per diventare un vero film. Quasi dieci anni per dar corpo a questa bella storia che parla di un ragazzino a cui la vita chiede di crescere troppo in fretta, un lasso di tempo davvero troppo ampio che, nel caso dell’esordio alla regia di un lungometraggio di Davide Gentile può anche essere controproducente.

Questo perché un film come Denti da squalo visto al cinema nel 2023 può apparire simile a molti altri film usciti negli ultimi dieci anni, ovvero da quando i riflettori dell’entertainment italiano si sono accesi con insistenza sul mondo della criminalità organizzata e, soprattutto, sulle tematiche infantili e adolescenziali ad essa collegate. Se la sceneggiatura di Denti da squalo nel 2014 poteva essere una bella ventata d’aria fresca nel panorama italiano, il film finito nel 2023 non lo è e rischia di somigliare a tante altre cose che – nel bene e nel male – abbiamo visto al cinema o su piattaforme in questi ultimi anni.

Chiarito questo punto, che ci dice come l’Industria cinematografica italiana sia un enorme bradipo autolesionista, possiamo comunque constatare che quello di Davide Gentile è un bel film e lo è in senso assoluto non solo per il suo filone di riferimento.

La mano di Gabriele Mainetti e della sua casa di produzione Goon Films si nota qua e là, non solo per la presenza dell’attore feticcio di Mainetti Claudio Santamaria, che interpreta il padre del giovane protagonista (o meglio, il suo fantasma), ma anche per quella freschezza internazionale (eppure tanto italiana) che aleggia su tutta l’opera.

Denti da squalo, infatti, è un coming of age in piena regola che ci racconta quell’estate di transizione nella vita di un individuo, una transizione dall’infanzia all’età (quasi) adulta. E lo fa evitando abilmente tutti quei cliché che questo tipo di storie solitamente seguono pigramente: nella storia di Walter c’è un lutto, l’amicizia, la strada del crimine ma anche un confronto speciale che è quello con il Re dei Mari, un enorme squalo. La connessione che si stabilisce tra il ragazzino e lo squalo dona al film quasi una dimensione fiabesca, come se Walter fosse il piccolo Elliot e lo squalo il suo E.T., un rapporto di paura e di rispetto che si tramuta, a poco a poco, in una strana amicizia. Perché nel ragazzino si instilla l’idea che quello squalo non faccia così tanta paura ma il suo fare minaccioso è solo una richiesta d’aiuto e, come dice un personaggio nel film, “quando uno squalo non fa più paura, ha smesso di essere uno squalo”.

Con la sua carburazione lenta ma estremamente puntuale e lineare, Denti da squalo cattura l’attenzione e sa far appassionare lo spettatore a una storia che funziona meglio quando racconta l’introspezione del giovane protagonista, mentre appare più banale e purtroppo già vista nel momento in cui cerca di costruire attorno all’avventura di Walter lo spettro della criminalità organizzata giovanile.

L’esordiente Tiziano Menichelli è bravissimo nel ruolo di Walter, una vera rivelazione, grazie al suo aspetto minuto che lo fa apparire più piccolo della sua età e quindi più vulnerabile; molto romana e dedita alla causa l’interpretazione di Stefano Rosci, che è Carlo, il custode della villa e nuovo amico di Walter, un bullo-non bullo a cui si riesce davvero a voler bene. Notevole l’interpretazione di Virginia Raffaele nel ruolo della madre di Walter, ennesima dimostrazione che si tratta di un’artista completa e non solo di un’attrice comica. Edoardo Pesce ha un piccolo ruolo, forse il meno interessante perché più convenzionale e dalle battute troppo “scritte”, comunque la sua presenza scenica è sempre rilevante e memorabile.

Da menzionare assolutamente lo squalo, realizzato dall’italianissimo team di Blackstone Studio e da David Bracci con tecnica mista CGI e animatronic in maniera credibile e realistica, capace di dare quei quid in più all’intero prodotto.

In conclusione, Denti da squalo è un prodotto anomalo e difficile da vedere al pubblico perché si trova in quel territorio di congiunzione tra dramma adolescenziale e avventura per tutta la famiglia, un’opera sicuramente riuscita e ben confezionata che paga lo scotto di arrivare al cinema troppo tardi, quando questo tipo di storie è già stato già raccontato troppe volte. Ovviamente, se vi aspettate un film con uno squalo killer avete proprio sbagliato prodotto, qui ce tutt’altro…

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Bravi e credibili attori, in particolare l’esordiente Tiziano Menichelli e Virginia Raffaele.
  • Lo squalo ben realizzato.
  • Nonostante lo squalo, è una storia già raccontata molte volte.
  • In alcune battute si sente un po’ troppo la scrittura da film.
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