Dumbo, la recensione
Il 23 ottobre del 1941 faceva il suo debutto sul grande schermo l’elefantino dalle grandissime orecchie e dagli occhi blu, Dumbo, per il quale Walt Disney si ispirò al romanzo di Helen Aberson illustrato da Harold Pearl, Dumbo, the Flying Elephant. Il 28 marzo 2019, ben più di 70 anni dopo, il tenero elefantino torna a farci commuovere, stavolta in una versione live action diretta da Tim Burton, prodotto e distribuito, ovviamente, dalla Disney.
La ex-star circense Holt Farrier, impersonato da Colin Farrell, è appena tornato, mutilato, dalla Prima Guerra Mondiale, ritrovando la sua vita sconvolta dalla perdita della moglie a causa di una terribile influenza, e con due figli a cui badare. Max Medici, a cui dà il volto Danny DeVito, è l’impresario del circo in cui lavorava Holt che, nonostante abbia dovuto vendere i suoi cavalli per ovviare alle difficoltà in cui versava il circo, non ha il cuore di licenziarlo e lo ingaggia per prendersi cura degli elefanti. Ed ecco che l’elefantessa Jumbo mette al mondo il suo cucciolo, un investimento su cui Max Medici aveva puntato tutto per risollevare le sorti del suo circo, ma che risulterà vano quando tutti si accorgono che il piccolo elefantino è nato con orecchie gigantesche. Un altro freak di cui non si sentiva il bisogno. Il cucciolo verrà allontanato dalla sua mamma e diventerà subito oggetto di scherno da parte del pubblico del circo, finché Milly e Joe, i due figli di Holt, non si accorgono che è proprio grazie alle sue enormi orecchie se Dumbo riesce a volare. Quando l’incredibile elefantino volante diventa famoso, un losco impresario con le sembianze di Michael Keaton e la sua compagna, impersonata da Eva Green, si impegneranno a trarne profitto, facendo diventare Dumbo una vera star.
Il nuovo Dumbo di Burton è un remake di uno dei classici disneyani più amati di sempre?
Non proprio.
Il gotico regista lo svecchia e lo aggiorna, usando la favola originale, che durava solo 63 minuti, come semplice trampolino di lancio per raccontare tutt’altro. Ed ecco che il nuovo Dumbo, tra tutti i remake live action disneyani, che tanto oggi vanno di moda, è quello più riuscito, non una semplice copia dell’originale ma nemmeno qualcosa di completamente diverso.
I richiami all’opera del ’41 non mancano e vengono affrontati con intelligenza, ironia e leggerezza: il film comincia con un viaggio in treno, proprio come nell’originale, c’è un richiamo alle famose cicogne che portano adorabili cuccioli a tutti gli animali del circo, è presente addirittura l’inquietante scena degli elefanti rosa, affrontata in salsa del tutto diversa. Inoltre, non poteva certo mancare la straziante scena, ristudiata ma rimasta molto fedele all’originale, del brano “Bimbo mio”, in questa versione cantata da Elisa, dove Dumbo e la sua amata mamma si cercano attraverso le sbarre che li dividono. Sono assenti solo i corvi e la loro orecchiabilissima canzone, e il simpatico topino Timoteo, relegato a semplice comparsa muta, ma Burton non ce ne fa sentire la mancanza più di tanto.
Anche la prospettiva è completamente diversa. I protagonisti del moderno Dumbo non sono animali parlanti e antropomorfi, ma l’attenzione è tutta sugli esseri umani, a discapito del vero protagonista. L’elefantino e la sua mamma, infatti, sono usati soprattutto come metafora dei desideri e delle pulsioni umane. Peccato, però, che il film pecchi proprio sulla caratterizzazione di alcuni personaggi, fino a sembrare addirittura superflui. Si fatica anche a trovare il vero protagonista della storia a causa di una scrittura un po’ decentrata dello sceneggiatore Ehren Kruger, che sembra indeciso tra rendere centrale il piccolo elefante, Holt, i suoi due figli e Medici. A proposito di sceneggiatura, inoltre, il nuovo Dumbo sembra strutturato in due parti ben distinte. Nella prima ci troviamo in una dimensione familiare, quella del circo, dove tutti si vogliono bene e si aiutano a vicenda, nella seconda parte, ossia quando cavalcano la scena Keaton e Green, si entra, invece, nel vivo dell’azione, nel parco divertimenti Dreamland, curioso rimando alla versione futuristica “Arcadia” immaginata da Walt Disney per il suo Disneyland.
Non c’è dubbio, però, che Dumbo sia la fiaba perfetta per un autore come Tim Burton. La vicenda, infatti, si focalizza su un ennesimo outsider, un tenerissimo “mostro” che lotta per farsi accettare, nessun altro regista poteva cogliere la vena malinconica e triste di Dumbo se non il creatore di Edward mani di forbice. Burton, infatti, gioca in casa e si lascia cullare dal suo stile innato, promuovendo una regia coerente e pulita, affiancato dalla meravigliosa fotografia di Ben Davis, dalle strabilianti scenografie, molte completamente ricostruite in studio, di Rick Heinrichs e dai costumi della sua tanto cara Colleen Atwood, che per l’occasione ha bandito gli abiti gessati, tipici del mondo immaginario di Burton.
Come quasi sempre capita nei film e nei cartoni disneyani, nel nuovo Dumbo non mancano certo messaggi positivi e buoni sentimenti. Il piccolo elefantino, come Milly e Joe, ci insegnano che ci si deve sempre accettare per come si è, che i propri difetti possono, invece, diventare dei pregi, che è importante contare sempre su se stessi anche quando la società ci rema contro. In Dumbo ogni personaggio è vittima di una perdita, che sia di un braccio, di una moglie, di una mamma, di una casa, ma è importante imparare che non ci si deve mai fermare e che si può ricominciare a volare e a sognare nonostante tutto.
Gli occhi teneri, super espressivi e azzurrissimi di Dumbo ci attendono al cinema dal 28 marzo, e preparatevi a versare qualche lacrimuccia.
Rita Guitto
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