Escobar – Il fascino del Male, la recensione
«Non mi interessava come si procurava i soldi, ma come li spendeva!»
(Virginia Vallejo)
Pablo Escobar Gaviria, conosciuto anche come Il Re della cocaina, è stato uno dei criminali più carismatici e di spicco nella seconda metà del ‘900. Implicato, per breve tempo, anche nella sfera politica, Escobar è considerato – ancora oggi – il criminale più ricco della Storia, con un patrimonio stimato di oltre trenta miliardi nei primissimi anni novanta.
In un periodo storico come questo, in cui il cinema e la televisione sembrano essere sempre più ammaliati dalla criminalità, era inevitabile che i riflettori si accendessero su una figura così “importante” come quella di Escobar.
In realtà, negli ultimi anni, Pablo Escobar è diventato un vero protagonista della Settima Arte e così nel 2012 è arrivata la telenovela colombiana Pablo Escobar, El patron del mal, seguita nel 2014 dal brutto film Escobar (con Benicio Del Toro chiamato ad interpretare il narcotrafficante) fino ad arrivare al 2015 con la messa in onda su Netflix della fortunatissima serie Narcos. Ma questi sono solo i titoli più significativi, perché il malavitoso di Rionegro, sempre negli ultimi anni, ha trovato spazio in altre piccole e grandi produzioni interessate a raccontare fatti e misfatti legati al cartello della droga colombiano.
Ora è la volta di Escobar – Il fascino del Male (Loving Pablo, in originale), presentato fuori concorso alla 74ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e tratto dal besteller di Virginia Vallejo Loving Pablo, Hating Escobar. Scritto e diretto da Fernando Leon De Aranoa, esattamente come il romanzo d’origine, in Escobar – Il fascino del Male si cerca sin da subito di raccontare la storia del narcotrafficante attraverso un punto di vista insolito e originale, ossia quello della giornalista Virgina Vallejo, amante e carnefice di Pablo Escobar.
Abbracciando un arco narrativo ampio e denso, Escobar – Il fascino del Male racconta la vita di Pablo dagli anni ottanta fino ai primi anni novanta. Da quando, dunque, agli occhi del popolo colombiano era un benefattore edile alla sua vertiginosa ascesa nel mondo del crimine fino ad arrivare, appunto, alla sua uccisione nel dicembre del 1993. Raccontando poco più di un decennio si cerca di restituire un’immagine piuttosto umana di uomo che, in pochi anni, si è posto al vertice dello smercio di cocaina nel mondo ed è stato responsabile di oltre il 20% delle armi circolanti illecitamente. Amato da molti e temuto da altri, prima di essere uno spietato narcotrafficante Pablo Escobar è stato un marito, un padre e un amante. Al suo fianco, negli anni importanti dell’ascesa criminale e politica, c’è stata la giornalista Vallejo che, inizialmente attratta dall’abbiente mondo di Escobar, ha assistito alla nascita del feroce criminale fino a quando, sentendosi in pericolo, ha deciso di collaborare con le forze della giustizia favorendo la sua cattura.
Cercando di rispettare in modo fedele le pagine di un romanzo, ma anche la vita di un uomo così come i meccanismi cinematografici di certo cinema gangsteristico (in questo film, più di altri, si odono echi lontani dello Scarface di De Palma), De Aranoa confeziona un criminal-biopic che appare costantemente indeciso ogni volta che c’è da muovere un passo. Il più grosso tentennamento lo individuiamo subito proprio su quello che dovrebbe essere il focus principale del film, ossia il protagonista. Sin dai primi minuti ci viene chiesto di sposare il punto di vista di Virginia Vallejo (che ha il volto di Penelope Cruz), in medias res assistiamo subito ad un suo patteggiare con la DEA e poi, attraverso una costruzione a flashback, entriamo nel mondo di Pablo Escobar partendo proprio da quella prima volta in cui la Vallejo ha fatto la conoscenza del “Robin-Hood” colombiano. Ma ci basta poco per capire che l’interesse di De Aranoa è mosso da Pablo e non da Virginia perché a mano a mano che i minuti avanzano Escobar diventa sempre più oggetto della narrazione tanto che lo spettatore viene portato, a circa metà film, a dimenticarsi proprio della presenza di Virgina Vallejo.
La conclusione è che Escobar – Il fascino del Male, da che doveva raccontare la storia del narcotrafficante colombiano attraverso un punto di vista completamente inedito, finisce con il rivelarsi un puro e classico biopic su Pablo Escobar. Ma poco male, in fin dei conti, perché Pablo Escobar è sicuramente una figura più carismatica e interessante rispetto a Virginia Vallejo, complice anche la notevolissima interpretazione di Javier Bardem che si impegna a fornire un identikit molto fedele del criminale, non tanto per aspetto fisco ma per ciò che riguarda il timbro di voce e le movenze. Con una camminata goffa e lenta, pronta a richiamare l’andatura degli ippopotami, Berdem è un Escobar perfetto che riesce a nascondere l’istinto feroce del criminale dietro l’aspetto di un uomo comune, a tratti anche buffo, indubbiamente dal fisique du role poco temibile.
Qui, a causa di una scrittura poco raffinata, troviamo la seconda incertezza del film che sembra non trovare la giusta risposta nel fornire il ritratto di Escobar “uomo” o quello dell’Escobar “criminale”. Nei suoi rapporti con la moglie e i figli, ma anche con Virginia, siamo spesso portati a conoscere il lato più umano del criminale colombiano, fatto anche di fragilità ed insicurezze continue, incapace di sottrarsi agli istinti sessuali ma, al tempo stesso, rispettoso e devoto a sua moglie, la sola che lo ha veramente amato nel momento in cui non era nessuno e non aveva nemmeno un soldo in tasca. A questo aspetto molto realistico, indubbiamente il più interessante, se ne alterna un altro molto “cinematografico” in cui Escobar è il criminale cattivo che fa cose cattive parlando come un vero cattivo. Un autentico villan, anche un po’ fumettistico, che mal si coniuga al ritratto umano sopra descritto. Non aiuta, a tal proposito, il lavoro fatto dal make-up per avvicinare la fisicità di Bardem a quella di Escobar, a tratti davvero eccessivo e artificiale.
Escobar – Il fascino del Male, tuttavia, non è solo incertezze e promesse mancate perché dietro queste carenze c’è un film dinamico che sa molto bene come intrattenere, a volte eccessivamente veloce nella narrazione (dovendo raccontare in poco tempo un arco narrativo molto ampio), utile a mantenere viva l’attenzione dello spettatore dall’inizio alla fine.
Siamo sicuramente lontani dal film perfetto così come, tanto meno, dalla crime-story in grado di lasciare una vivida impronta. Tra pregi e difetti, Escobar – Il fascino del Male è un film che coniuga in modo soddisfacente la vera vita di un noto criminale con il cinema di puro intrattenimento.
Giuliano Giacomelli
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One Response to Escobar – Il fascino del Male, la recensione
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no per carità meglio Benicio Del Toro mille volte ✌️ “Escobar Paradise Lost”