Hustle, la recensione del film con Adam Sandler sull’NBA

Distribuito l’8 Giugno su Netflix, Hustle è uno di quei film che da The Meyerowitz Stories in poi vede Adam Sandler investito in ruoli drammatici. Al centro del film c’è la storia di Stanley Sugarman, talent scout per i Philadelphia 76ers che si trova in una fase difficile della sua carriera. Messo alle strette dopo un’occasione come vice coach, torna a ricercare talenti e in Spagna incontra casualmente Bo Cruz, ragazzo dal passato travagliato ma nel quale si intravede un futuro da campione. Scommettendo tutto su di lui e ostracizzato dai 76ers, lo scopo di Stanley è ora uno solo, ambizioso, arduo e quasi impossibile: portare l’astro nascente, Bo Cruz, in NBA.

La trama è sostanzialmente tutta qui, e nel suo svilupparsi non vive particolari risvolti o sottotrame secondarie che amplino l’universo di questa avventura. Questo è senza dubbio un primo problema che il film incontra, non solo il plot generale è il classico film sportivo hollywoodiano dalla premessa “from zero to hero”, ma i personaggi che compongono questo scheletro basico non sono approfonditi, non hanno tridimensionalità e le pochissime, fin troppo prevedibili, catarsi che questi vivono non si allontanano mai da quello che chiunque abbia almeno visto due o tre film simili già conosce.

Nonostante una sceneggiatura debole, il film riesce a tenersi in piedi grazie a dei personaggi che seppur bidimensionali sono almeno interpretati magistralmente da gran parte del cast, Sandler in particolare riesce ancora una volta, dopo Uncut Gems – Diamanti grezzi, a restituire un’interpretazione drammatica che segna in maniera definitiva una vera e propria Sandler Renaissance. Complice assoluto del casting e vero punto di forza del lavoro del regista Jeremiah Zagar è il montaggio. Serrato, armonico, disteso, ritmato; il lavoro che Zagar applica tra scelte di regia e scelte di montaggio riesce a donare una pasta completamente moderna a una trama e a un genere di film ormai abbastanza invecchiati.

Se con il precedente We the Animals Zagar firmava un coming of age clamoroso per quella che è la sfera indie statunitense; con il passaggio alla produzione mainstream manca, per dirlo in termini vicini al film, il tiro da 3 punti. Hustle non è affatto un flop, ma gioca nello stesso campionato di tutti quei film che hanno un potenziale inespresso, certamente non in NBA. Nonostante sia pieno fino all’orlo di eccezionalismo americano e di quella classica retorica che da La ricerca della felicità di Muccino in poi ci ammorba con la favola dell’american dream, il film funziona e funziona anche Adam Sandler che sta vivendo un vero e proprio rinascimento drammatico con il suo culmine massimo in Uncut Gems – Diamanti grezzi dei fratelli Safdie, ci si augura questo curva venga cavalcata a lungo.

Hustle non è certamente Hoop Dreams ma qualche tiro tenta comunque di farlo anche se non centrando sempre il canestro. Netflix, una volta tanto, va a segno e realizza un film sportivo dal plot pressoché banale ma che riesce a regalare anche piccoli momenti visivamente piacevoli grazie a un montaggio e a una regia solidi.

Emanuele Colombo

PRO CONTRO
  • Montaggio ritmato.
  • Ottime interpretazioni.
  • Trama pressoché banale.
  • Difficile comprendere le dinamiche del NBA agli estranei della disciplina.
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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Hustle, la recensione del film con Adam Sandler sull'NBA, 7.0 out of 10 based on 1 rating

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