Intervista a Gianni Rosato, protagonista del revenge-thriller Do ut des

A inizio maggio è arrivato nei cinema italiani Do ut des, un pregevole revenge-thriller diretto da Dario Germani e Monica Carpanese che riporta in auge il concept narrativo che era alla base del cult anni ’70 Emanuelle e Françoise (Le sorelline) di Joe D’Amato e Bruno Mattei, aggiornato alla nostra contemporaneità. Per approfondire il film vi rimandiamo alla nostra recensione, qui diamo invece voce al protagonista Gianni Rosato, che interpreta il protagonista di Do ut des, Leonardo, un personaggio decisamente anomalo perchè riveste, allo stesso tempo, anche il ruolo del villain.

Nel film Do ut des interpreti Leonardo, un imprenditore milanese che ha la passione per le belle donne, ma con le quali instaura dei rapporti che definire tossici è riduttivo. Come hai lavorato per dar vita a questo personaggio?

Innanzitutto, ci tengo a precisare che Leonardo è distante da me anni luce, per modo di essere e di agire soprattutto. Immedesimarsi in un lui è stato fondamentale, è stato un lavoro lungo e complesso, ma è stato altrettanto indispensabile impiegare tempo, impegno e fatica per riuscire a dare quanta più credibilità possibile a questo individuo, freddo, distaccato, a volte anche glaciale, ma a tratti emotivo e penetrabile. Personalmente ho visto tantissimi film, ma non per trarne spunto, al contrario invece, per evitare ciò che di ripetitivo può essere già stato visto in film o serie tv. Ecco, evitando tutto ciò, ho potuto dare al mio Leonardo quanta più verità possibile e sono contento che questo lavoro sia stato apprezzato.

La cosa che mi ha stupito – e qui va dato credito anche alla sceneggiatura di Monica Carpanese – è far si che lo spettatore sia portato a immedesimarsi con un personaggio così negativo. Tu, da interprete ma anche spettatore, come consideri Leonardo? Vittima o carnefice?

Un plauso va fatto a Monica Carpanese infatti, la sua penna geniale è riuscita brillantemente a dare luce a tutti i personaggi da lei creati e un’accurata co-regia con Dario Germani ha dato loro vita e soprattutto tanta credibilità. Oggi come oggi siamo spesso attratti soprattutto dai personaggi negativi, vuoi per la caratterizzazione data dall’attore, vuoi per l’attore stesso che ne interpreta il ruolo. Personalmente, guardando Leonardo con gli occhi dello spettatore, lo vedo un po’ come fosse una sorta di “doppelganger” che significa, letteralmente, doppio camminatore, cioè appunto carnefice e vittima, ma non di Emanuelle, vittima di se stesso oserei dire. Da interprete invece ne sono rimasto fin da subito affascinato, questo ha fatto si che Leonardo mi conquistasse in fase di lettura a tal punto da vivere questa interpretazione come una sfida, riuscire ad essere l’opposto di me stesso, il mio esatto contrario e ne sono soddisfatto visto l’apprezzamento del pubblico, il cui parere è insindacabile!

Il soggetto di Do ut des deriva molto liberamente da quello di Emanuelle e Francoise – Le sorelline, di Joe D’Amato e Bruno Mattei. Hai visto o conoscevi il precedente film? Se si, hai preso in considerazione l’interpretazione di Luigi Montefiori per il personaggio analogo?

Conosco il film, lo reputo un capolavoro di nicchia, per me tutto ciò che è di nicchia è destinato a non tramontare mai. Come detto poco prima, per scelta stilistica e personale, ho preferito rimanere lontano e distaccato da tutto ciò che già esiste. Ho preferito portare una mia proposta ai registi e con loro plasmare Leonardo, eliminando ciò che non serviva e aggiungendo qualsiasi cosa che potesse arricchirlo. In quanto a Luigi Montefiori posso solamente dirti che è stato impeccabile nella caratterizzazione del suo personaggio e ha dato una credibilità e una carica emotiva in maniera magistrale.

Scorrendo la tua filmografia cinematografica noto una grande varietà di ruoli e film: dall’allegoria d’autore al fantasy “sociale” per ragazzi, dal giallo al dramma giovanile musicale fino al revenge movie? Qual è il ruolo che fino ad ora ti è sembrato più impegnativo e con che cosa ti piacerebbe confrontarti in futuro?

Sicuramente, ogni ruolo, ogni storia, ha delle responsabilità nei confronti di chi guarderà poi il film, in questo caso però, trattandosi del mio primo protagonista, oserei dire che questo è stato il lavoro più impegnativo, perché costruire un personaggio e renderlo vero dall’inizio alla fine della storia, non è semplice. Basta una virgola in più oppure semplicemente strafare ed ecco che il tuo personaggio cade nell’incredulità che agli occhi dello spettatore non passa di certo inosservata. Tanta la gioia nell’aver ottenuto il ruolo, tanto l’impegno che ci ho messo, e tanta è la soddisfazione nel leggere tutte le recensioni più che positive che abbiamo ottenuto. Se mi proietto ad un futuro prossimo, mi piacerebbe lavorare con diversi registi del calibro di Ferzan Ozpetek, Mario Martone, Paolo Sorrentino, Edoardo De Angelis… ma questi sono pochissimi nomi di una lista ben gremita.

Hai anche molti ruoli in tv, tra film e serie di grande successo. Tra cinema e tv cosa sceglieresti? E quale è la grande differenza tra fare un film e una fiction?

Mi verrebbe subito da dire che l’impegno che ci metti non è più o meno importante in base alla tipologia. Sai, io amo questo lavoro a 360° e non sceglierei mai tra cinema, serie tv, o altro. Semplicemente mi piacerebbe e punto soprattutto a fare cose di qualità. E’ molto importante nella costruzione di una carriera per un attore, saper scegliere (soprattutto se si ha la fortuna di essere guidati da un ottimo agente) i progetti che più ci appartengono o che più fanno per noi, perché è vero, siamo attori, ma non tutti possiamo fare tutto. Io in questo mi reputo fortunato perché non lascio spazio alla bramosia assoluta del voler lavorare di decidere quali sono i progetti che più fanno al caso mio, ma cerco di fare e spero di riuscirci sempre, scelte ben oculate che mi facciano crescere ed essere sempre più apprezzato dal pubblico. Poi, che questo sia in sala o sul divano di casa non cambia, anche se personalmente sono un amante del velluto rosso e dei pop-corn.

A cura di Roberto Giacomelli

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