Jersey Boys, la recensione

Il Premio Oscar Clint Eastwood, oggi arzillo ottantaquattrenne, torna dietro la macchia da presa e regala al pubblico una frizzante e travolgente commedia musicale, a ritmo dei successi del leggendario gruppo rock The Four Seasons. Jersey Boys, adattamento per il grande schermo del celebre musical vincitore del Tony Award, racconta senza ipocrisia la parabola altalenante di tre italoamericani di Newark (New Jersey): Tommy De Vito (Vincent Piazza), Nick Massi (Michael Lomenda) e il giovane Frankie Castelluccio (John Lloyd Young). Quest’ultimo, di giorno studia per diventare barbiere e la notte delizia squallidi club con la sua incredibile voce. Mentre i primi due, delinquentelli da strapazzo, continuano a entrare e uscire di prigione, Frankie, che può contare sulla protezione e la simpatia del boss locale Gyp DeCarlo (Christopher Walken), cambia il proprio cognome in ‘Valli’ e migliora di giorno in giorno le proprie. L’incontro del trio con il musicista e autore Bob Gaudio (Erich Bergen) sarà la scintilla decisiva dalla quale nasceranno i Four Seasons, che riscossero un successo straordinario negli anni Cinquanta e Sessanta grazie a canzoni come Sherry e Walk Like a Man.

Frankie Valli e Bob Gaudio, che oggi hanno rispettivamente 80 e 71 anni, hanno partecipato all’ultima fatica di Eastwood come produttori esecutivi; inoltre, tre su quattro degli interpreti del film (fa eccezione Vincent Piazza) provengono direttamente dal palcoscenico teatrale dove il musical omonimo continua a far scintille dal 2005. E’ in questo clima di affettuosa nostalgia che nasce Jersey Boys, su sceneggiatura e music book di Rick Elice e di quel Marshall Brickman Premio Oscar per la sceneggiatura del capolavoro Alleniano Io e Annie. Scelte decisamente felici e azzeccate per il nostro Clint, cui si aggiunga quella, inconsueta e rischiosa, di far eseguire le canzoni ai protagonisti dal vivo sul set.
A Jersey Boys non manca nulla: performance eccezionali, strepitosi costumi e scenografie, sceneggiatura di ferro… A questo si aggiunga un umorismo che funziona a meraviglia e il rigore di un sincero ma sfizioso affresco di un’epoca. Menzione speciale, a tal proposito, per la fotografia morbida e precisa di Tom Stern, patinata al punto giusto e assolutamente funzionale nel’evocare scrupolosamente un ambiente e un momento storico ai quali è impossibile non guardare con meraviglia.

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Eastwood racconta con piacevolezza visiva e narrativa ma senza orpelli la sfida di quattro giovani venuti dal nulla, armati solo del proprio talento, che si affermarono sulla scena musicale, più che mai in fermento, contando solo l’uno sull’altro e sulla determinazione di riscattarsi. Il regista si diverte, è evidente. Cita Scorsese (solo un indizio: Joe Pesci), si autocita, invita il pubblico a ondeggiare insieme a lui sulle note sentimentali e le armonie corali dei nuovi alfieri del palcoscenico. Ma riesce anche a raccontare con toni equilibrati e più seri le incomprensioni caratteriali, le discrepanze interne e i drammi umani di ciascun membro del gruppo. A tal proposito, è interessante la scelta di far dialogare ciascuno dei quattro Four Seasons direttamente col pubblico, attraverso lo sguardo in macchina. Questo, se da una parte rema contro la plausibilità della messa in scena e rompe l’illusione di autenticità, è un efficace strumento di indagine psicologica ma in grado di sortire, all’occorrenza, anche un effetto divertente.

Il ritmo della narrazione, dinamico, serrato e privo di tempi morti, fa sì che le due ore e un quarto di durata complessiva volino, senza pesare minimamente sulla soglia dell’attenzione spettatoriale, sempre su un ottimo livello. Non mancano momenti memorabili o scene da antologia, tra cui ci limitiamo a citare il momento in cui Valli solista si cimenta nell’intramontabile Can’t take my eyes off you, che nel film Il Cacciatore i protagonisti, tra cui Christopher Walken, cantano in coro. Il quartetto di performer appare perfettamente affiatato e a proprio agio e nei godibili momenti musicali del film, che siano concerti o registrazioni, e ciascun attore si mostra notevole nell’emergere come individualità nelle dinamiche di gruppo e raccontare tanto la dimensione pubblica del personaggio che interpretano, quanto quella privata. Un occhio di riguardo merita, inoltre, l’interpretazione di Mike Doyle nei panni di Bob Crewe, effeminato produttore musicale e manager dei Four Seasons.

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Jersey Boys, memorabile pellicola che cede platealmente al musical solo nei titoli di coda, è uno spumeggiante e autentico inno all’amicizia in grado di andare oltre ai torti e alle incomprensioni, alla labilità del concetto di famiglia, alla musica come unica vera forma di felicità possibile. Chi con questo genere di musica è cresciuto e si è innamorato non potrà non incantarsi e abbandonarsi a ricordi e sensazioni; chi scopre questo sound per la prima volta, si appassionerà immediatamente e uscirà dalla sala canticchiando e con la voglia di saperne di più… L’ennesimo esperimento di Clint può dirsi promosso a pieni voti!
Il film, distribuito dalla Warner Bros. Pictures, debutta nelle sale italiane il 18 giugno.

Chiara Carnà

PRO CONTRO
  • Tecnicamente ineccepibile e ottimamente interpretato.
  • Un buon equilibrio tra sfera drammatica e piacevolezza narrativa.
  • Riesce a raccontare una vicenda autentica seppur con qualche licenza.
  • L’ottima sceneggiatura fa sì che la durata del film (134 minuti) non penalizzi il coinvolgimento spettatoriale.
  • Inutile ma impossibile non ribadirlo: la musica!
  • Chi non ama il genere di musica di cui si narra o non apprezza i film musicali in generale, finirà per sbadigliare rumorosamente.
  • La solfa dell'”eravamo più felici quando non eravamo nessuno” sa di abusato cliché.
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Valutazione: 8.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Jersey Boys, la recensione, 8.0 out of 10 based on 1 rating

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