La vendetta di un uomo tranquillo, la recensione

L’espressione di uso comune “la vendetta è un piatto che va servito freddo” trova ennesima e ficcante conferma nel sorprendente e più che benvenuto esordio alla regia dell’attore e sceneggiatore spagnolo Raúl Arévalo. La vendetta di un uomo tranquillo, thriller di rara tensione, asciutto e viscerale, pluripremiato ai recentissimi Goya (4 riconoscimenti fra cui Miglior Film) e un po’ meno recentemente all’ultimo Festival di Venezia, sezione Orizzonti. Autenticamente spagnolo nei suoi sfondi, il film non cerca di accattivarsi i favori del pubblico, specialmente estero, spacciando ambienti e suggestioni turistiche a buon mercato; il gusto per l’esotico è doverosamente sacrificato al realismo polveroso di scenari che spaziano dalla periferia di Madrid ai paeselli dimenticati della Spagna rurale.

In questo universo impregnato di esuberanza carnale e sensualità, muove i suoi passi José (Antonio de la Torre). Silenzioso fino ai limiti dell’introversione, una fissità dello sguardo che non si preoccupa di tradire la freddezza di una missione, José è palesemente un pesce fuor d’acqua nel mondo che sembra abitare quasi suo malgrado. Il suo evidente interesse –  per nulla disinteressato – nei confronti di Ana (Ruth Diaz), sorella di Juanjo (Raúl Jimenez), il gestore del bar che bazzica di quanto in quanto, sposata a Curro ( Luis Callejo), violento e temperamentale e sul punto di uscire di galera dopo otto lunghi anni, è un importante tessera nel mosaico di un progetto di vita e di morte battezzato nel sangue, soprendente e per nulla catartico.

 La narrazione è frammentaria, specialmente nella prima parte, a rischio di risultare frustrante nella misura in cui nessuna emozione sembra destinata a svilupparsi nella sua pienezza, incorniciata da una serie di capitoletti che delineano il perimetro del racconto, alludendo a luoghi e nomi degni di nota, per poi farsi più fluida e concentrata nella seconda.

Ciò che conta nelle intenzioni di Arévalo, e dovrebbe pertanto analogamente contare nella risposta del pubblico, è la psicologia e le motivazioni di José, prima oscure, poi vagamente intuibili, quindi evidenti senza margine di dubbio. Tutto il resto è conseguenza o antefatto. Ciascun personaggio è abbozzato nell’essenziale, e da qui muove alcuni piccoli passi a destra e a sinistra che approfondiscono il quadro senza svendere troppo della sua interiorità.

Il senso ineluttabile di suspense che permea il film, sorretto da un montaggio che costruisce l’emozione in maniera quasi meccanica, hitchcockiana, il vantaggio di un’esposizione limpida, visiva più che letteraria, fanno de La vendetta di un uomo tranquillo un film arido e glaciale, trattenuto e brutalmente esplicito, ancorato nei suoi sfondi a un ambiente e ad una sensibilità ben precisa, ma sufficientemente radicato nel suo cuore di tenebra ad emozioni universali e inquietanti, che scavano nel subconscio dello spettatore ben oltre il termine della proiezione.

Un film costruito su fondamenta ben solide. Quale che sia il suo segreto, non è dato saperlo. Ma è bene concludere sottolineando che il segreto funziona.

Francesco Costantini

PRO CONTRO
La padronanza del mezzo di Arévalo, tanto più sorprendente se pensiamo che questo è il suo esordio. Una concentrazione di sguardi, gesti e intonazioni apprezzabilissima. Il bel titolo italiano forse svela troppo. Ancora una volta l’arduo dilemma: suspense o sorpresa?
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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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