Lasciami entrare, la recensione

Il dodicenne Oskar vive un’infanzia difficile: i genitori separati sono entrambi fin troppo assenti e i suoi compagni di scuola lo insultano e picchiano quotidianamente. Una sera, però, Oskar conosce Eli, una sua coetanea che è appena venuta ad abitare nell’appartamento vicino al suo. La ragazzina però non va a scuola, esce raramente e mai durante il giorno e mostra uno strano pallore. Pian piano tra i due nasce una bellissima amicizia, ma sorge un problema: Eli è un vampiro e i cadaveri che si stanno accumulando in paese nelle ultime settimane sono opera sua.

Negli ultimi tempi la figura del vampiro sembra essere tornata di moda, dopo un parziale accantonamento nei primi anni del terzo millennio. Qualcuno avrebbe potuto ipotizzare che il vampiro non si amalgamasse bene alla frenesia e al sadismo che l’horror ha acquistato nelle produzioni di successo post 2000, a meno che non si finisse nella contaminazione con l’action (cosa che infatti è accaduta). Eppure, 30 giorni di buio ci ha dimostrato che il vampiro è ancora capace di “mordere” e l’ha fatto utilizzando un linguaggio che guardasse all’horror contemporaneo così come a quello passato. Ma il successo commerciale, quello da prime pagine sui tabloid, è arrivato con Twilight, vampirismo adolescenziale che ha toccato corde estranee all’horror vero, ma riportando comunque in auge la figura del vampiro nell’eccezione più romantica e quasi contro-corrente all’affermazione più muscolare e sanguigna guadagnata nell’epoca post Blade. Ma come dicevo, il vampiro è tornato a mordere sul serio ed ha poco a che fare con i successi d’oltreoceano annunciati e targettizzati, piuttosto giunge dalla fredda Svezia, si chiama Eli, ha “più o meno” dodici anni e uccide perché deve vivere. Eli è la protagonista di Lasciami entrare, il film che Tomas Alfredson ha ricavato dall’omonimo romanzo di successo di John Ajvide Linqvist, confezionando una pellicola toccante e avvincente, probabilmente tra le migliori nel suo genere da molto tempo a questa parte.

Protagonisti della vicenda sono l’amicizia e l’emarginazione, trasfigurati nelle sagome dei due piccoli protagonisti, Oskar (Kare Hedebrant) ed Eli (Lina Leanderson). Entrambi sono emarginati dalla società; l’uno perché è figlio di prima generazione della legge sul divorzio (la vicenda è ambientata nel 1982), l’altra perché è un vampiro. Oskar si trova a combattere in solitudine contro la quotidianità, privo di una figura genitoriale solida che lo guidi, dal momento che la madre è una donna in carriera pronta ad avvicinarlo semplicemente per guardare un po’ di televisione assieme la sera e il padre è sempre troppo distante e apparentemente più interessato alle sue amicizie che al figlio. Naturalmente anche la cattiveria infantile e il bullismo ci mettono del proprio e così il ragazzino verrà fatto vittima di crudeli angherie dai compagni di scuola. Tutto ciò porta ad un rancore represso che scaturisce nel ragazzino attraverso un morboso interesse per la cronaca nera e per le armi da taglio, con le quali sogna di colpire il suo acerrimo nemico. Così tanta insicurezza e umana fragilità sono controbilanciate dalla comparsa di Eli, vampiretta tanto diversa da Oskar quanto simile.

Eli è una predatrice, sa difendersi e vuole insegnarlo anche al suo giovane amico, uccide indistintamente per la semplice esigenza nutritiva e la sua condizione di immortalità l’ha portata al punto di conoscere l’essere umano (ed evitarlo) meglio di quanto l’uomo conosca se stesso. Però anche Eli è un’emarginata; figurativamente è molto simile al prototipo dell’immigrata povera e senza dimora, non può avere una vita sociale a causa della sua ovvia condizione da creatura della notte, segnata da tutti gli svantaggi che la sorte vampirica le ha riservato. Eli non ha nessuno con cui condividere la sua infanzia congelata, solo un anziano servitore/tutore con il quale intrattiene un’ambigua relazione di complicità/amore. Oskar ed Eli sono dunque due personaggi predisposti alla convivenza, fatta di comunicazione veicolata dal linguaggio morse e di baci al sangue, epurando il rapporto da qualsivoglia esplicita implicazione sessuale, pur viaggiando sui binari di una sottile morbosità che tiene in bilico la dimensione asessuata infantile e quella più passionale dell’amore adulto.

Alfredson, grazie all’ottima performance dei due attori protagonisti e alla scorrevole sceneggiatura dello stesso autore del romanzo, costruisce così una storia che si fa forte dell’intimità della vicenda ma allo stesso tempo dell’universalità del messaggio. L’attenzione con cui si delineano i personaggi e l’alchimia fra i vari elementi (impliciti ed espliciti) della storia riesce a creare una perfetta empatia nello spettatore, accompagnata da ritmi perfettamente bilanciati tra l’introspezione e le sferzate orrorifiche, che hanno un grande impatto emotivo e visivo.

Lasciami entrare è un film che merita molta attenzione, una vera e propria ventata d’aria fresca in un filone che in diverse occasioni si presta a una perdita d’identità.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Una bella storia raccontata con delicatezza e attenzione all’aspetto introspettivo.
  • Ottimi personaggi e la vampiretta Eli rimane davvero nel cuore.
  • Gli effetti visivi.
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Valutazione: 8.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Lasciami entrare, la recensione, 8.0 out of 10 based on 1 rating

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