L’immortale, la recensione
La storia di Ciro Di Marzo, detto l’Immortale, inizia nell’ormai lontano 2014 quando su Sky esordiva la serie tv ispirata al successo editoriale di Roberto Saviano (e, di conseguenza, al film di Matteo Garrone) Gomorra. Si tratta di un personaggio inedito, creato appositamente per la serie in parte diretta e supervisionata da Stefano Sollima, anche se indiscrezioni varie ci hanno informato che il personaggio è lontanamente ispirato a Genny o’Mckay, elemento di spicco nel clan degli Scissionisti di Secondigliano, gruppo camorristico che nel 2004 fece guerra al dei Di Lauro, all’epoca dominate su Scampia.
Ciro Di Marzio è stato uno dei personaggi più amati e allo stesso tempo odiati di Gomorra – La serie, intrappolato in un mondo al quale sembrava destinato fin da bambino e abile nel destreggiarsi nelle infide meccaniche criminali fino a una scalata al potere che lo ha portato a “comandare”, pur dovendo sacrificare i suoi affetti, l’amore. Un personaggio incredibilmente complesso, scritto benissimo e interpretato con un’intensità fuori dal comune dalla vera rivelazione di Gomorra – La serie, Marco D’Amore che in curriculum aveva qualche film (tra cui Una vita tranquilla di Claudio Cupellini e Perez. di Edoardo De Angelis) e tanto teatro.
Ciro Di Marzio, però, è uscito di scena alla fine della terza stagione di Gomorra, un destino inevitabile vista la piega degli eventi, conservando però un particolare rapporto con l’amico fraterno e suo fatale esecutore Genny Savastano. Il cerchio era chiuso, Gomorra aveva perso uno dei suoi protagonisti ma aveva guadagnato una coerenza narrativa interna impeccabile.
Sarà per le reazioni negative dei fan di Ciro alla sua dipartita, sarà per l’accoglienza non proprio entusiasta riservata alla quarta mediocrissima stagione di Gomorra, o forse era tutto pianificato fin dall’inizio, ma Ciro Di Marzio ha tenuto fede al suo soprannome e ora i suoi estimatori e tutti coloro che hanno seguito con interesse e passione Gomorra possono trovarlo vivo e vegeto, nonché protagonista del film L’immortale, nei cinema da 5 dicembre distribuito da Vision Distribution.
Operazione innovativa per il panorama italiano e intelligente meccanismo cross-mediale che accompagna lo spettatore televisivo al cinema (e viceversa), L’immortale ha una interessante struttura narrativa che lo pone come narrativamente parallelo agli eventi della quarta stagione della serie ma si concentra molto anche sul passato del personaggio, fungendo anche da prequel a Gomorra.
In seguito alla colluttazione sullo yacht al largo di Napoli, Ciro Di Marzio riesce miracolosamente a salvarsi e, trasportato d’urgenza in ospedale e operato, decide di cambiare aria e spostarsi in Lettonia, dove un suo contatto lo mette a gestire un traffico di cocaina per conto di un boss della mafia russa. Qui si trova immediatamente coinvolto in una faida che ha come scopo il controllo dello spaccio su suolo lettone e incontra una vecchia conoscenza con cui ha condiviso parte della sua infanzia.
L’immortale, che porta la firma di ben cinque sceneggiatori (Leonardo Fasoli, Maddalena Ravagli, Francesco Ghiaccio, Giulia Forgione e lo stesso Marco D’Amore), ha un compito importante: aggiungere elementi e completare la mitologia attorno al personaggio di Ciro Di Marzio, esplorando il suo passato, e fungere da ponte verso la quinta stagione della serie che arriverà nel 2021. È una funzione inedita per il panorama cinematografico italiano perché utilizzare il cinema per creare una così stretta sinergia con il mezzo televisivo non è cosa comune nel nostro sistema produttivo, in vista soprattutto dell’annosa guerra in cui i due media sono da sempre stati descritti in Italia. Invece qui si cerca una collaborazione, grazie anche alla indubbia qualità della serie Gomorra e al suo valore estetico che potremmo definire “cinematografico”, utile a far sì che molti spettatori “esigenti” potessero far pace con le produzioni italiane televisive, per troppo tempo schiave di una pigrizia produttiva che le ha bollate come “fiction”.
Con una costruzione frequentemente intervallata da flashback, veniamo a conoscenza dell’infanzia di Ciro, nato letteralmente nel bel mezzo del terremoto che ha distrutto Napoli nel 1980 e figlio del destino. Seguiamo la sua gioventù in orfanotrofio, scandita da una formazione criminale avvenuta nei Quartieri Spagnoli, prima impiegato nel furto di autoradio, poi coinvolto nelle azioni di contrabbando in mare. Una vita che gli ha chiesto troppo presto di crescere, in cui la Morte era sempre dietro l’angolo a vegliare su di lui. Frangenti narrativi che ricordano molto da vicino il bellissimo La paranza dei bambini di Claudio Giovannesi (che ha sempre Roberto Saviano come matrice comune), così concentrati sulla miseria e sulla via criminale come unica risposta per sopravvivere, una mancanza di morale che porta inevitabilmente alla perdita di tutti gli affetti. Marco D’Amore, che oltre che interprete principale e co-sceneggiatore è anche regista esordiente, riesce a gestire con grande brillantezza e intensità questo passato trovando anche il supporto di una serie di ottimi attori come Giovanni Vastarella e Giuseppe Aiello, che interpreta Ciro da bambino.
Più “di maniera” il blocco narrativo principale ambientato nel presente e che ricorda molto da vicino l’episodio 3 della terza stagione di Gomorra, in cui Ciro era impegnato in Bulgaria in un traffico per conto di un boss della malavita albanese. Qui abbiamo una gestione degli eventi che ricalca il modus operandi tipico di Ciro Di Marzio, fatto di doppi e tripli giochi, vendette e rese dei conti, tutto molto in stile crime europeo che non lesina in violenza e melodramma. Un racconto avvincente, generalmente molto ben orchestrato, anche qui supportato da bravi caratteristi (Salvatore D’Onofrio ha il giusto sguardo intenso per dar credibilità al suo personaggio tormentato).
Che dir si voglia, L’immortale non è un film adatto a qualsiasi spettatore, la serie Gomorra gli è propedeutica (fino alla terza stagione) e avventurarsi nella visione essendo a digiuno dell’epopea televisiva dei Savastano rischierebbe di minare la comprensione del lungometraggio.
Comunque, nonostante l’effettiva utilità di questo film, che sembra quasi un espediente per rimediare a un “errore” commesso nel corso della serie, L’immortale è un solido e godibilissimo crime dal grande fascino estetico e dalla innegabile riuscita generale.
Roberto Giacomelli
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