Louisiana, la recensione

Tra i vari film del Bel Paese che quest’anno hanno popolato la kermesse di Cannes, quello di Roberto Minervini è di sicuro un progetto necessario e sentito, che si spinge al di là dei rapporti convenzionali tra realtà e finzione. Louisiana (The Other Side) s’impadronisce dei luoghi e dei personaggi che racconta, facendo i conti con lo spettro di un’America abbandonata a se stessa, in cui la politica e le istituzioni sembrano aver dimenticato una porzione di territorio che diventa, così, Altro. Presentato nella sezione Un Certain Regard, questo film-documentario, successore dell’acclamata “trilogia del Texas”, fonde e sospende l’aspetto documentaristico con la finzione filmica.

Le vicende vengono documentate con occhio lucido e intimista. I personaggi (che interpretano loro stessi) sono colti in situazioni che arrivano anche al limite della decenza, senza sottrarsi, però, a un percorso diegetico cinematografico ben definito che indulge, molte volte, verso la ricerca di un’umanità cancellata quasi del tutto.
La pellicola si divide sostanzialmente in due parti, entrambe ambientate nella Louisiana del Nord. La prima segue passo passo la vita di Mark, compagno di Lisa, che si guadagna da vivere lavorando nella carrozzeria di un vecchio reduce del Vietnam, ma soprattutto grazie alla vendita di metanfetamine.

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La droga non soltanto sembra essere l’unico rimedio alla disoccupazione dilagante che affligge la maggior parte della popolazione della Louisiana, ma rappresenta, in primo luogo, un palliativo contro il nulla che circonda la loro intera esistenza.
Una disperazione latente percorre le vie della città, s’insinua nella casa di una madre che non fa caso al figlio adolescente che fuma marijuana da un bong e pervade il bagno di un night club dove Mark sta iniettando una siringa nel braccio di una spogliarellista incinta.
Minervini è sempre lì, osserva senza giudicare, indaga ma non ricerca risposte. Ci sarebbe solo una cosa da fare: se non si vuole morire, si sceglie la galera. “Almeno lì smetto di farmi”, confessa Mark alla sua ragazza Lisa, dopo essere stato a trovare sua madre.

In un pezzo di mondo che marcisce sotto gli occhi socchiusi di una politica americana menefreghista e incauta, l’ordine naturale delle cose s’inverte. Gli anziani dettano legge; i ragazzi trovano nell’arruolamento alle armi l’unica soluzione possibile. Significativa la scena in cui un nonno incita il nipotino a diventare soldato, in onore di quella libertà che il paese americano ha sempre usato per persuadere giovani menti. La seconda sezione si apre all’insegna di un divertimento senza freni: è il 4 luglio. Molti festeggiano in spiaggia, ma in mezzo ai boschi un gruppo di soldati si sta esercitando a sparare e a proteggere il proprio compagno. Questo è, senza dubbio, il momento in cui la pellicola rischia di svelare la sua natura politica, trasformandosi in un mezzo di denuncia.

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Tuttavia, il regista elude questa minaccia tracciando un sentiero parallelo a quello seguito in precedenza. Il cameratismo militare – forse descritto in maniera un tantino sbrigativa – e il fanatismo che ne deriva sono solo un’altra strategia architettata per riuscire a sopperire alla perdita di certezze. I cittadini della Louisiana danno un nome a quel nemico invisibile che li ha lasciati senza sogni, che sia Obama, l’ONU o le leggi marziali. Insieme, si preparano a combattere una battaglia che non arriverà mai, perché già persa in partenza.

Sorprende constatare come l’occhio esterno di Minervini riesca a imporsi così cautamente, fornendo un quadro lucido della situazione di un’America allo sbaraglio e riportando in auge quel “mito della frontiera” che stavolta non si trova “dall’altra parte”… bensì da quest’altra. Una “barbarie” che gli Stati Uniti devono combattere a casa loro, e che rimette in gioco la posizione di una nazione che da sempre si è fatta portatrice di civiltà e di valori democratici.
Louisiana (The other side) è nelle sale italiane da giovedì 28 maggio, distribuito da Lucky Red.

Noemi Macellari

PRO CONTRO
  • Un film-documentario dal sapore amaro ma dallo sguardo lucido e consapevole, che porta in scena una parte del mondo occidentale lasciata ai margini della società.
  • Alcune scene disturbanti.
  • La seconda parte risulta più sbrigativa della prima.
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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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