Per mio figlio, la recensione
A distanza di poche settimane dall’uscita dell’ottimo La ragazza del treno, tratto dall’omonimo best-seller di Paula Hawkins, ecco arrivare nelle sale un altro thriller tratto da un libro di successo. Stiamo parlando di Per mio figlio del regista franco–svizzero Frédéric Mermoud, basato sul libro Moka (che è anche il titolo originale del film) di Tatiana de Rosnay. Un film tuttavia piuttosto deludente e molto al di sotto sia del buon potenziale a disposizione, sia del suo “simile” americano, che appare di gran lunga meglio costruito e più teso. Quello di Mermoud, infatti, è un thriller poco avvincente, noioso in tanti punti e soprattutto incapace di scegliere una strada precisa da far intraprendere al suo racconto.
Diana da diversi mesi è alla ricerca del conducente della Mercedes color caffè che ha investito e ucciso suo foglio, rovinandole di fatto la vita per sempre. Una volta scoperto dove si trova la proprietaria della macchina, Diana, che nel frattempo è ricoverata in una clinica, lascia la sua Losanna per recarsi nella cittadina di Evian. Qui incontra una donna elegante, Marléne, con cui fa amicizia e il suo affascinante e tenebroso compagno Michel dal quale acquista la macchina incriminata. Ben presto, però, la protagonista scoprirà che la verità non è quella che sembra.
Il fatto che il film sia stato presentato all’ultima edizione del Festival di Locarno, dove ha ricevuto anche il premio Variety Piazza Grande Award, rappresenta la spia di come Per mio figlio abbia un approccio molto autoriale. A dispetto della trama da thriller e revenge movie, la storia ha un’impronta molto tendente al drammatico con la protagonista che ci viene presentata come una donna complessa, segnata dal dramma del figlio e così sensibile al punto da rimanere travolta dai problemi di Marlene e della sua famiglia.
Se il lavoro sui personaggi e i rapporti fra loro è ottimo, lo stesso non si può dire per la parte più strettamente thriller che risulta poco efficace e mal congegnata sia nei ritmi, che sono lentissimi, sia nella gestione della tensione che non raggiunge mai i picchi dovuti e, soprattutto, è danneggiata ulteriormente da un dispiegamento degli indizi goffo e forzato in tanti punti, in particolar modo negli intrecci amorosi prevedibili anche per lo spettatore meno avvezzo al genere
Qualcosa da salvare c’è ed è un cast formato da attori molto bravi ed esperti tra cui annoveriamo Emmanuelle Devos, nei non facili panni di Diana, Nathalie Baye, David Clavel, che interpreta il bello e tenebroso Michel il cui ruolo si rivela centrale all’interno della storia, e la giovane Diane Rouxel.
Insomma, per chi vuole vedere un thriller avvincente o passare una serata all’insegna dell’intrattenimento, Per mio figlio è altamente sconsigliato.
Vincenzo de Divitiis
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