Paradise Beach – Dentro l’incubo, la recensione
Ma ve lo ricordate il bel cinema eco vengeance degli anni 70 e 80? Quei fantastici beast-movie che hanno preso piede soprattutto in seguito al successo mondiale del capolavoro di Spielberg Lo squalo? Da Piranha ad Alligator, passando per le varianti terrestri Il branco, Cujo, Grizzly e tanti altri… magnifici e spesso ingenui affreschi di una natura che si rivolta all’essere umano, colpevole di distruggere il pianeta che condividono. Un filone, quello del beast movie, che lentamente è andato scemando, per lo più relegato a produzioni direct-to-video sempre più povere di idee e capitali, testimoni del tramonto di un’epoca. In particolare a risentirne è stato il sotto-filone dello shark movie, fiorentissimo nel post Lo squalo e rilegato negli ultimi anni a ospitare progetti sempre più assurdi che comprendono squali a due o tre teste, ibridati con altri animali, impegnati a scontrarsi con fantomatici mostri o raccolti in letali tornado. Ora finalmente lo shark movie torna ad avere una dignità grazie al sempre bravo Jaume Collet-Serra che dirige Paradise Beach – Dentro l’incubo, un ottimo e tesissimo thriller acquatico che riporta ai fasti di un tempo il cinema degli squali.
Paradise Beach (che in originale titola The Shallows per indicare la bassa marea notturna) segue la vacanza di Nancy, una studentessa americana di medicina che decide di passare una giornata in una spiaggia messicana a cui è legato il ricordo di sua madre, morta di recente. Quando la sua amica le dà buca, Nancy decide comunque di fare surf da sola in quella spiaggia deserta, ma la ragazza è finita nella zona di caccia di un famelico squalo bianco, che la ferisce e le distrugge la tavola da surf. Ora Nancy non può fare altro che rifugiarsi su uno scoglio emerso dalla bassa marea, a poca distanza dalla riva, con la speranza che qualcuno la trovi prima che l’alta marea la lasci in balia del gigantesco animale.
Il regista di origini spagnole Jaume Collet-Serra ha un curriculum di tutto rispetto, iniziato nel 2005 quando fu scelto dalla Dark Castle per dirigere la riuscita versione teen-slasher di La maschera di cera, a cui ha fatto seguito lo splendido thriller Orphan (2009) e tre rispettabilissimi thriller/action con Liam Neeson (Unknow – Senza identità, Non-Stop e Run All Night). E mai scelta fu più appropriata per la regia di Paradise Beach, perché Collet-Serra riesce a infondere a questo thriller acquatico una tensione costante che rende ansiogena e dannatamente avvincente una vicenda che si ambienta per tre quarti su uno scoglio!
Grazie a una sapiente gestione degli eventi, Paradise Beach tiene col fiato sospeso per tutta la sua durata, così avremo una veloce ma efficace presentazione del personaggio principale, interpretato ottimamente da Blake Lively, e poi la repentina immersione nell’incubo, in cui la minaccia è rappresentata da un magnifico squalo bianco realizzato perfettamente con un misto di computer grafica ed effetti meccanici. L’animale è minaccioso e motivato come raramente si vede al cinema, dal momento che in questo caso attacca così testardamente la ragazza per difendere la sua zona di caccia, dove galleggia una carcassa di balena arenata. Oltra a Nancy e lo squalo c’è però un altro personaggio, un gabbiano ferito, che la protagonista battezza Steven Seagull, per la sua volontà a vender cara la pelle, un anomalo co-protagonista che sa farsi ricordare.
Le bellissime ambientazioni naturali (il film è stato girato in Australia anche se è ambientato in Messico) fanno da sfondo a diverse incursioni nell’horror, anche se il gore non è mai veramente necessario. E se le scene di tensione, come si diceva, funzionano benissimo e il finale più action è una costante del filone, l’unica cosa che stona è proprio la ricerca del particolare raccapricciante più consono al cinema del terrore, con alcune uccisioni “collaterali” che si sarebbero anche potute risparmiare.
Paradise Beach – Dentro l’incubo è, dunque, un esempio davvero riuscito di shark movie, un thriller di sopravvivenza che riporta finalmente alta la bandiera di questo avvincente filone, ripristinando quella dignità perduta caratteristica delle vere produzioni hollywoodiane.
Roberto Giacomelli
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