Piccola Patria, la recensione

Luisa e Renata vivono in un piccolo paese del Nordest, lavorano come cameriere in un hotel e sognano di fuggire da quel luogo per farsi una vita altrove. Luisa ha un ragazzo, l’albanese Bilal, mentre Renata ha instaurato un rapporto morboso con un uomo di mezz’età, a cui estorce denaro per partecipare a rapporti sessuali con Luisa e Bilal. Quando le due ragazze decidono di ricattare l’uomo e in paese l’intolleranza verso gli extracomunitari si comincia a fare sempre più accentuata, la situazione a poco a poco precipita.

Presentato nella sezione “Orizzonti” del 70° Festival di Venezia, Piccola Patria è l’esordio nel lungometraggio di fiction del documentarista Alessandro Rossetto che, in controtendenza in confronto alla moda del momento, decide di raccontare la realtà partendo da una storia di finzione. Ma si tratta di realtà, appunto, e lo sguardo di Rossetto è così lucido e genuinamente spietato nel raccontare l’assurdità e l’arretratezza culturale e morale della provincia da apparire ben più realistico di altre opere più osannate e di altra ambizione.

piccola patria immagine 1

Piccola Patria parte dal presupposto che il provincialismo genera mostri. Non è chiaro se questo messaggio fosse voluto o è stato travisato, ma la descrizione dei personaggi e degli eventi non lascia troppe interpretazioni. Luisa e Renata sono mostri, frutto di una generazione culturalmente fossilizzata e, lì dove ha trovato una strada verso il rinnovo, non ha fatto altro che incancrenirsi ulteriormente. Per questo a Luisa e Renata la provincia sta stretta e hanno voglia di evasione, ma portano dentro un seme marcio e i loro gesti sono sempre e comunque diretti a ferire il prossimo, che si tratti di delinquere o di trasgredire, semplicemente andando in giro “col cul de fora” o organizzando piccole orge. Il comportamento di queste due ragazze, interpretate con grande convinzione da Roberta Da Soller e soprattutto Maria Roveran, che è un chiaro atto di ribellione, però sembra quasi una vendetta verso questa società bacata in cui vivono e che alimentano a loro volta. Una società xenofoba, legata a valori non sempre condivisibili e chiusa in se stessa, che proclama l’indipendenza (tra l’altro cogliendo l’attualità del periodo in cui il film esce) e va a caccia del “negro” (che è tale indipendentemente dal colore della sua pelle), con arma da fuoco alla mano.

Rossetto, che scrive anche la sceneggiatura insieme a Maurizio Braucci e Caterina Serra, gioca con l’erotismo che scaturisce soprattutto dalla prorompenza di Maria Roveran e il suo rapporto morboso con le persone che la circondano, che sia l’occhio involontariamente voyeuristico del padre (Diego Ribon) che la vede sfilare seminuda dentro casa, il suo ragazzo (Vladimir Doda) e il suo attempato amante (Mirko Artuso) o la stessa Renata, con la quale sembra aver instaurato un rapporto ambiguo che getta sospetti sulle preferenze sessuali dell’androgina complice. Aggiungiamo anche un’ottima gestione degli spazi, con frequenti inquadrature dall’alto che fotografano a perfezione un ambiente anomalo, fatto di zone proto-industriali immerse nel verde, spesso accompagnato da cori popolari eseguiti dal gruppo musicale locale Stag, a cui presta la voce anche la protagonista del film.

piccola patria immagine 2

Però, dietro innegabili meriti, Piccola Patria mostra diversi difetti che non ne fanno un film del tutto riuscito e soprattutto un film che si auto relega in una nicchia incapace di catturare un pubblico ampio. L’uso del dialetto e della lingua albanese – con sottotitoli distribuiti su tutto il film – ha senz’altro una valenza antropologica che ne accentua il carattere realistico, ma ci si chiede anche se ce n’era davvero bisogno. Poi si nota una certa prolissità nella vicenda che incide sul ritmo e sul racconto che appare poco calibrato, con evitabili lungaggini, da una parte, e un finale frettoloso e non risolutivo dall’altra.

Comunque Piccola Patria è l’ennesima dimostrazione che nel Nordest italiano c’è una scena cinematografica vitale e attiva, capace di distanziarsi (spesso nel modo migliore) da un cinema contemporaneo nazionale stanco, ottuso e preoccupantemente autoreferenziale.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Ottimo compromesso tra realtà e fiction.
  • Il film arriva in un momento in cui le tematiche trattate sono di grande attualità.
  • Buon cast, in particolare la protagonista Maria Roveran.
  • Inutilmente prolisso.
  • Inadeguata gestione di ritmo e fatti raccontati.
  • L’uso del dialetto (con sottotitoli) va irrimediabilmente a influire sulla popolarità dell’opera.

VN:F [1.9.22_1171]
Valutazione: 6.0/10 (su un totale di 1 voto)
VN:F [1.9.22_1171]
Valutazione: +1 (da 1 voto)
Piccola Patria, la recensione, 6.0 out of 10 based on 1 rating

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.