Quel fantastico peggior anno della mia vita, la recensione

Negli ultimi anni, la malattia è diventata un territorio prelibato per il cinema adolescenziale e, ancora prima, per la letteratura young adult. L’esempio più palese, nonché consacrazione, è arrivato con Colpa delle stelle, romanzo e film di grande successo che racconta l’amore e la malattia dal punto di vista di due adolescenti. Alfonso Gomez-Rejon parte da questo presupposto e realizza un film che volutamente si pone come pecora nera del filone, un anti-Colpa delle stelle, possiamo dire: e quale occasione migliore che adattare il romanzo di Jesse Andrews Me and Earl and the Dying Girl? Da questi presupposti nasce Quel fantastico peggior anno della mia vita, gradevole storia di formazione che adotta il cinismo per parlare di buoni sentimenti, applauditissima all’ultimo Sundance Film Festival, dove si è anche aggiudicato due premi. 

Greg è un ragazzo talentuoso, intelligente e appassionato di cinema, impegnato nel realizzare rivisitazioni personali dei suoi film preferiti insieme al suo migliore amico Earl. Greg però è anche incapace di relazionarsi col prossimo e quando sua madre gli chiede di fare amicizia con Rachel, una ragazza del suo liceo malata di leucemia, accetta a malincuore, scoprendo a poco a poco che anche lui ha un lato empatico.

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Gomez-Rejon mette subito in chiaro le cose: Quel fantastico peggior anno della mia vita non è una storia triste, né la classica parabola sull’innamoramento adolescenziale. E ribadisce questo concetto più volte ponendo il suo film sulla difensiva. Seguiamo le vicende di Greg, interpretato da un bravissimo Thomas Mann (Project X, Hansel & Gretel: Cacciatori di streghe), immerso in un mondo che vuole essere la periferia americana di oggi, dove le famiglie sono strambe (il padre di Greg adora i gatti e la cucina alternativa, la madre di Rachel ci prova con gli amici della figlia), la scuola è popolata da studenti fortemente divisi per tipologie, i professori hanno la corporatura possente di Jon Bernthal… e via dicendo. L’universo che in poche battute Quel fantastico peggior anno della mia vita riesce a creare è cult, così come sono dei cult annunciati i mini-film che Greg e Earl realizzano: remake di Arancia meccanica e Apocalypse Now fatti con la stop-motion e ricchi di sagaci intuizioni che pagano più di un pegno a Be Kind Rewind di Michel Gondry.

Ma c’è molto in Quel fantastico peggior anno della mia vita che riesce a farsi apprezzare durante la visione e ricordare con piacere dopo, dai fulminanti dialoghi (è lo stesso Jesse Andrews a scrivere la sceneggiatura) alle didascalie che annunciano l’ovvio, fino ai siparietti (anche questi in stop-motion) in cui la cotta “impossibile” di Greg per la reginetta della scuola è descritta come la relazione tra uno scoiattolo e un alce.

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Tutto regge alla perfezione per tre quarti della durata e il miracolo di 50 e 50, il film di Jonathan Levine a cui Quel fantastico peggior anno della mia vita più somiglia, sembra essersi ripetuto. Però, a un certo punto, Alfonso Gomez-Rejon – che viene dall’horror con il remake di La città che aveva paura e molti episodio di American Horror Story – sembra cedere al richiamo del filone a cui il suo film appartiene e Quel fantastico peggior anno della mia vita tende a stabilizzarsi un po’ troppo nei canoni di quella tipologia di film. L’intuizione finale è di gran classe e il cinismo rimane costante, ma si ha la sensazione che il voler giocar sporco non sia stato solo un espediente narrativo diegetico, bensì una mancanza di coraggio.

In mezzo a un cast che presenta anche volti noti come Connie Britton e Nick Offerman, va assolutamente segnalata Olivia Cooke nel ruolo di Rachel, la “ragazza morente” del geniale titolo originale, che interpreta un ruolo molto simile a quello che ha nella serie tv Bates Motel.

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Quel fantastico peggior anno della mia vita è film che fortunatamente rimane e cresce, gradevole e ricco di belle intuizioni narrative e visive, ma allo stesso tempo è un film poco coraggioso che cede a scelte ovvie e risapute. Un 100 che si accontenta di essere un 70.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Ottima sceneggiatura, ricca di trovate intelligenti, bei dialoghi e personaggi interessanti.
  • Un cast ben assortito e di alto livello.
  • Alcune intuizioni visive risultano decisamente accattivanti.
  • A tratti il suo spirito da Sundance crea una leggera spocchia.
  • La strada che il film prende lo rende troppo simile a quello che non vorrebbe essere.
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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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