Riparare i viventi, la recensione

A partire da oggi, approda nelle nostre sale Riparare i viventi, il film di Katell Quillévéré presentato alla 73^ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Il film è tratto dal romanzo di Malys de Kerangal e ci mostra ciò che avviene nelle ore successive all’incidente che coinvolge un gruppo di ragazzi, tra cui Simon, cui viene dichiarata la morte cerebrale.

A partire da quel momento assistiamo ad una narrazione corale di ciò che cambia nella vita dei suoi familiari, dello staff dell’ospedale di Le Havre, di Claire (Anne Dorval): una donna in attesa di un trapianto di cuore. Gli eventi rappresentati sono spalmati su un arco temporale della durata di 24 ore, impresa complessa quanto non riuscita: mancano passaggi fondamentali alla comprensione di alcuni tra i numerosi personaggi messi in gioco. Quelli fondamentali non vengono nemmeno presentati prima di prendere piede nella narrazione.

Al contrario, personaggi di natura secondaria hanno uno spazio che poteva essere utilizzato diversamente: viene data molta importanza alla dimensione degli affetti, delle relazioni interpersonali, prevalentemente senza una reale esigenza, che sottraggono minutaggio ad approfondimenti che avrebbero potuto risultare più interessanti.

Una scelta piuttosto discutibile è la rappresentazione sullo schermo di un intervento vero e proprio (la regista ha dichiarato di essersi ispirata alla serie The Knick di Steven Soderbergh). Fa riflettere su come il titolo del film – e del romanzo – potrebbe essere un inno alla chirurgia, alle opere di trapianto: allusione fuori luogo, se ci si vuol concentrare su emotività e sentimenti.

Luca Lobuono

PRO CONTRO
  • Le abilità recitative di Anne Dorval.
  • La narrazione confusionaria.
  • Troppo spazio dedicato a vicende trascurabili.
  • Una lezione di anatomia che resta (sfortunatamente) indimenticabile.
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Valutazione: 4.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Riparare i viventi, la recensione, 4.0 out of 10 based on 1 rating

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