S. Darko, la recensione di un sequel non richiesto

Sam Darko, la sorella di Donnie, è rimasta particolarmente turbata dalla morte del fratello. Da allora sono passati sette anni, ma per Sam la vita non ha mai avuto una vera svolta: il suo desiderio di diventare una ballerina è sfumato, la sua famiglia la trascura e l’unica cosa che le rimane è rifugiarsi nella fantasia, malgrado la sua incapacità di sognare. Sam è ora in viaggio con l’amica del cuore Corey, dirette verso Los Angeles. La loro auto però ha un guasto e le due rimangono imprigionate in un paesino in attesa che arrivi un pezzo di ricambio per rimettere in sesto la vettura. Lì c’è un’aria di inquietante rarefazione in cui si muovono strani personaggi, tra cui Iraq Jack, un reduce dalla Guerra del Golfo ormai uscito di testa osteggiato dall’intera comunità e desideroso di viaggiare nel tempo. L’improvvisa caduta di un meteorite che per poco non uccide Iraq Jack è solo l’inizio di una serie di strani avvenimenti che scatenano incomprensibili paradossi temporali e che vedono sempre coinvolta Sam.

Quando un film è prodotto per il solo mercato dell’home video e in Italia riescono a piazzarlo tra le uscite cinematografiche (con un gran battage pubblicitario, tra l’altro) c’è da insospettirsi sulla realtà qualitativa dell’opera, se poi il film in questione in aggiunta è anche il sequel di un cult generazionale praticamente inserializzabile, beh, allora quel sospetto comincia a farsi cieca certezza. E infatti, indipendentemente da pregiudizi e aspettative di sorta, S. Darko riesce nell’obiettivo di rivelarsi quel film mediocre e inutile che tutti si aspettavano.

Del resto, come fare a proseguire una storia eccentrica, complessa e autoconclusiva come quella raccontata in Donnie Darko senza scadere nella ripetizione e nella gratuita complessità o semplificazione? Missione praticamente suicida, operazione tanto commerciale nella forma quanto anticommerciale nella sostanza che sarebbe potuta riuscire bene probabilmente solo nelle sapienti mani di un’entità astratta superiore e incontaminata dall’influenza umana, status a cui ovviamente non appartengono i mortali Chris Fisher e Nathan Atkins, rispettivamente regista e sceneggiatore di S. Darko.

L’obiettivo di questo film è rimanere fedele alla mitologia creata da Richard Kelly nel primo episodio, in parte riproponendola, ma allargando gli orizzonti a una storia di più ampio respiro e molteplici chiavi di lettura. Lo scopo però non è stato raggiunto e la maggiore colpa può essere attribuita proprio ai legami figurativi e narrativi con la storia precedente, a volte troppo gratuiti e mal integrati. In pratica è proprio la mancanza di libertà immaginativa che risiede nella vicenda che pone i primi paletti che ancorano S. Darko alla sua non riuscita. L’ottusa scelta di reinserire oggetti ed eventi chiave di Donnie Darko per urlare il legame tra i due film fa si che si venga a creare un’opera sfilacciata e a tratti realmente incongrua, facendo sì che la presenza del libro di Roberta Sparrow, dei wormhole, della maschera di Frank, del fanatismo religioso e dell’apocalisse imminente siano degli inutili orpelli di forzata continuità messi lì dove la storia avrebbe benissimo potuto reggersi altrimenti.

In pratica immaginate lo sceneggiatore che giustamente spulcia in modo certosino lo script di Donnie Darko, ne estrae gli elementi contraddistintivi e li inserisce malamente in una storia che vuole essere però originale. Il risultato è una sorta di mostro di Frankenstein che lascia sconcertanti e perfino annoiati, visto che il ritmo inspiegabilmente lisergico del film contribuisce a scavargli una fossa di assoluta mediocrità.

Sicuramente è lodevole la voglia – un po’ timida in realtà – di costruire un qualche cosa che possa anche risultare originale. Il viaggio nel tempo e la struttura a universi tangenti è stavolta maggiormente complicata, amplificata, facendo si che si susseguano e si sovrappongano piani temporali differenti, tutti scanditi dalla morte e dalla rinascita in previsione della catastrofe finale. La storia si fa maggiormente corale e il personaggio centrale di Sam viene più volte oscurato dalla presenza dei personaggi di contorno. Qui sembra non esistere un vero punto fisso, non c’è “il” Donnie, ma la maschera dell’ambiguo straniamento viene passata di volto in volto, così come quella dello spirito guida, spegnendo così la forza iconografica di molti degli elementi del film precedente (il coniglio, i wormhole, la vittima sacrificale, l’eroe).

Allo stesso tempo però il personaggio di Sam è anche un elemento di ambiguo interesse che potrebbe sicuramente essere visto come artefice di ogni evento, a qualunque piano dimensionale ci si voglia riferire, apparendo così un punto cardine unico nella vita di coloro con cui entra in interazione influenzando il tempo e lo spazio: è come se sia la stessa Sam a creare il ponte di tangenza tra  diversi universi e muovere le pedine dell’intero gioco, una sorta di capacità amplificata in confronto a quella del fratello che scaturisce dalla sua fantasia. Non a caso tutto inizia e tutto finisce con il suo arrivo e la sua partenza, quasi a simboleggiare che il mondo al di fuori del suo Io non esista.

Il conto alla rovescia verso la fine si fa qui meno ossessivo e stranamente l’apocalisse imminente è vissuta dai personaggi e dallo spettatore con maggiore passività, ma questo stato di passività incombente, sicuramente a tratti voluto, grava sull’intero film influenzando il coinvolgimento spettatoriale. Anche i personaggi che affollano il film non appaiono particolarmente interessanti, tutti appena abbozzati e alcuni a tratti fin troppo caricaturali, a partire dal bulletto dal cuore d’oro clone di Corey Feldman (l’Ed Westwick di Gossip Girl) e dal viscido nerd appassionato di meteoriti (Jackson Rathbone reduce da Twilight).

Curiosamente Daveigh Chase, che interpreta Sam, è la stessa attrice che ha interpretato la sorellina di Donnie nel primo film, oltre ad essere il volto di Samara in The Ring.

Da vedere solo per avere la conferma che Donnie Darko non aveva bisogno di un sequel.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Cerca una sua originalità rielaborando le tematiche di Donnie Darko.
  • Tutto quello che in Donnie Darko funzionava qui appare superficiale.
  • Personaggi poco interessanti.
  • Ritmo troppo lento che trasforma S.Darko in un film noioso.
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S. Darko, la recensione di un sequel non richiesto, 5.0 out of 10 based on 1 rating

One Response to S. Darko, la recensione di un sequel non richiesto

  1. Fabio ha detto:

    Sei stato fin troppo buono , per me sta mondezza è da voto 2, film veramente osceno e che non serviva a nulla, il primo invece è molto interessante!!!

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