Scary Stories to Tell in the Dark: incontro con il regista Andrè Øverdal

Ispirato all’omonima serie di racconti horror per ragazzi di Alvin Schwartz, Scary Stories to Tell in the Dark è stato presentato nella selezione ufficiale della 14^ edizione della Festa del Cinema di Roma e uscirà nei cinema italiani il 24 ottobre distribuito da Notorious Pictures. Ad accompagnare la proiezione alla kermesse romana è stato chiamato il regista Andrè Øverdal, norvegese di nascita e già specializzato in cinema horror grazie al mockumentary Troll Hunter e all’inquietantissimo Autopsy.

scory stories to tell in the darkScary Stories to Tell in the Dark si ambienta in un paesino di provincia degli Stati Uniti nel 1968, all’alba dell’intervento dell’esercito americano in Vietnam. Riguardo il contesto storico, il regista ha spiegato che nel suo film c’è un elemento politico inserito nella storia, soprattutto per quanto riguarda il sospetto con cui gli immigrati venivano visti dagli autoctoni nelle piccole realtà sociali, ma non c’è un collegamento voluto e di carattere politico con la guerra in Vietnam, anche se poi Ramòn è direttamente collegato a questa questione.

È il 1968 ad essere un anno politico” – conclude il regista, che poi si concentra sull’aspetto sociale dato dalle “dicerie”:

Una vita può essere distrutta dalle dicerie, dalle voci di paese, come oggi la vita di un ragazzo può essere distrutta in un attimo a causa dei social media. Ma non si tratta di un fenomeno fondamentalmente legato a un momento storico e alla tecnologia, ma è un problema senza tempo, come accade a Sarah Bellows, che la sua tragica vicenda diventa il fulcro della leggenda.

Alla domanda sulla scelta delle storie da inserire nel film, tra le tante che compongono l’antologia Scary Stories, Øverdal ha spiegato:

La scelta delle storie è stata fatta dagli sceneggiatori prima che io fossi chiamato per dirigere il film; nel libro ci sono tantissime storie, ma la scelta è avvenuta perchè queste storie erano utili a rivelare alcuni aspetti dei personaggi che abbiamo deciso di raccontare. Per quel che riguarda l’aspetto registico si è trattato di trovare i giusti spunti per dar rilievo alla paura dell’ignoto, che ritengo la paura più difficile e interessante da trasporre, da materializzare per immagini.

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Da dove arriva l’ispirazione visiva per la realizzazione del film?

L’ispirazione viene immancabilmente dai film con cui sono cresciuto, quelli degli anni ’80, e per me è stato facile perchè ultimamente c’è stato un nuovo interesse mediale per quel periodo grazie ai successi di Stranger Things e It ma anche Poltergeist, che io adoro. Sono molto contento di aver potuto fare il film cosi. Poi, essenzialmente, volevo raccontare una storia umana, far si che il pubblico potesse affezionarsi a loro; è un film con il cuore e il contributo di Guillermo Del Toro è stato fondamentale per questo aspetto.

Scary Stories to Tell in the Dark affronta diverse leggende metropolitane che fanno ormai parte dell’immaginario popolare. E Øverdal non è nuovo al racconto delle leggende.

Mi piace modernizzare le mitologie, con Troll Hunter e con un film che sta per uscire il prossimo anno l’ho fatto, cosi come, per certi aspetti, con Scary Stories. C’è molta mitologia fantastica al mondo e trovare un tocco moderno per svecchiarla e parlare a un pubblico giovane mi piace molto.

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Un elemento primario di Scary Stories sono le scene di tensione.

Costruire la tensione è una lezione fondamentale che ho imparato studiando i film di Hitchcock, la cosa migliore è condurre lo spettatore pian piano nella suspense, io devo capire da dove viene la mia paura, guardare l’inizio della situazione.

In Scary Stories è presente anche un piccolo riferimento all’ambiente come luogo minacciato dall’azione umana.

L’aspetto ambientale in questo film deriva dall’attualità ovviamente, ma quando ci sono mostri di mezzo spesso c’è una violenza della natura. I libri hanno delle illustrazioni molto iconiche e c’è tanta natura in quei disegni!

E i giovani attori sul set di Scary Stories?

Gli attori erano tutti straordinari, professionisti anche più degli attori adulti con cui ho lavorato. Venivano sul set con idee, e questo è un lusso con i giovani perchè non si sono ancora schematizzati su idee fisse. Avevano un’energia fantastica e sono diventati amici, si vedevano anche fuori dal set e questo si sentiva poi quando giravamo.

A cura di Roberto Giacomelli

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