Sound of Freedom – Il canto della libertà, la recensione

Come è ormai noto a tutti coloro che masticano di cinema, Sound of Freedom – Il canto della libertà è un vero e proprio caso cinematografico, uno dei più eclatanti del 2023. Costato circa 15 milioni di dollari e gestito da una distribuzione indipendente, il film diretto dal messicano Alejandro Monteverde è riuscito a incassare 185 milioni di dollari su suolo statunitense e quasi 245 worldwide, diventando uno dei film americani più redditizi degli ultimi tempi nonché decimo incasso annuale in USA, davanti a blockbuster di appeal ben maggiore per il pubblico generalista come il quinto Indiana Jones e il settimo Mission: Impossible.

Diciamo che, seppur non siano all’ordine del giorno, abbiamo molti casi in cui un piccolo film diventa un successo internazionale facendo la fortuna dei produttori, ma quello che ha lasciato emergere dal mucchio Sound of Freedom è la nomea di film complottista, insomma “il film che non vogliono farvi vedere”. Ovviamente non è così, si tratta di una strana – quanto efficace, in questo caso – forma di pubblicità che ha puntato sul passaparola, soprattutto attraverso i social network, atta a raggiungere proprio quella fetta di pubblico che sguazza in fantomatici complotti e appartiene alle frange della destra più estrema e ha uno spiccato spirito cristiano. Un gigantesco misunderstanding voluto dalla stessa produzione (il modello-attore-cantante messicano Eduardo Verástegui, fervente cattolico e noto pro-life) e dalla distribuzione (gli Angel Studios, specializzati in cinema moral-religioso proprietà dei fratelli Harmon, mormoni dello Utah), a cui ha aggiunto un carico da 90 l’attore protagonista Jim Caviezel, molto vicino alla destra trumpiana, fortemente cattolico e noto negli ultimi anni perché sostenitore di alcuni movimenti complottisti come quello di QAnon, erroneamente accomunato al film.

Sound of Freedom è un poliziesco normalissimo, come ne esistono davvero a valanghe, che è finito per insozzarsi con la politica più grottesca, la fede più radicale e le teorie complottistiche più assurde senza che tutto ciò fosse realmente legato a un progetto iniziato nel 2018 (quando la setta di QAnon, per esempio, neanche esisteva) in casa 20th Centtury Fox e finito in un limbo distributivo dopo la cessione a Disney. Una serie di circostanze che hanno gettato un’ombra pittoresca sul film – dalla quale il regista Alejandro Monteverde, tra l’altro, si è dissociato prendendola economicamente in quel posto – e cucendogli l’etichetta di film scomodo, una tecnica che ha stimolato la curiosità di molti, la simpatia a priori di qualcuno e l’odio immotivato di altri, ma che ha pagato benissimo in quanto a promozione a costo zero.

Questo è Sound of Freedom – Il canto della libertà, realizzato nel 2018, distribuito nel 2023 e che a distanza di diversi mesi dal successo internazionale, arriva anche in Italia come film evento solo il 19 e 20 febbraio (dopo una serie di anteprime da sold out, sintomo che anche in Italia il “film scomodo” attira) distribuito dalla misconosciuta Dominus Production, anch’essa specializzata in film religiosi.

Premessa doverosa, ma ora veniamo al sodo. Di cosa parla Sound of Freedom?

Tim Ballard è un’agente dell’Homeland Security e si occupa di dar la caccia ai pedofili. Dopo aver arrestato in California un individuo trovato in possesso di materiale pedopornografico e facente parte di un grosso giro, Ballard arriva a un altro pedofilo di rientro dal Messico che trasportava con sé il piccolo Miguel. Da questa cattura, emerge un traffico molto intenso di bambini in Messico, reclutati tramite vere e proprie audizioni truffa per future piccole star dello spettacolo e Tim viene a sapere da Miguel che anche sua sorella Rocio è stata rapita ed è tuttora una schiava sessuale. Toccato molto da vicino dalla triste storia di Miguel, Tim si impegna in prima persona nel ritrovare la sorella scomparsa e porre fine a questa terrificante tratta dei minori.

Quella raccontata in Sound of Freedom è una storia vera: Tim Ballard esiste, si è occupato in prima persona della piaga della pedofilia e ha condotto molte retate, licenziandosi dalla polizia per mettersi in proprio con un’agenzia mirata a questo scopo. Tim Ballard è anche molto vicino all’entourage di Donald Trump ed è stato di recente al centro di accuse per molestie sessuali che lo hanno portato ad allontanarsi dalla sua stessa organizzazione; insomma torniamo a rimestare in quel torbido dove l’operazione Sound of Freedom ha trovato la sua fortuna.

Il regista Alejandro Monteverde, anche autore del soggetto e della sceneggiatura insieme a Rod Barr, conduce il film con una mano molto sicura che punta tutto sull’emotività data dall’argomento. Artisticamente parlando, Sound of Freedom non ha particolari meriti allineandosi a quel tipo di poliziesco para-televisivo senza infamia e senza lode che ha il merito di risultare molto coinvolgente e toccare le corde giuste dell’empatia. Seguire la storia di un poliziotto che si impegna con un bambino per ritrovare la sua sorellina e sgominare una banda di pedofili è un po’ giocare sul sicuro e questo fa Monteverde, con quel rigore e quella professionalità di chi sta portando a casa il buon risultato.

Qua e là c’è un consistente (e inevitabile, visto i committenti) moralismo di stampo religioso che si manifesta attraverso dialoghi retorici e una delineazione del protagonista che ha quasi dell’angelico/divino (attraverso lo sguardo del piccolo Miguel, in particolare), scelta che smorza un po’ l’efficacia del racconto (o la rafforza a seconda del punto di vista). A tal proposito, risulta sicuramente un enorme punto a favore del film l’interpretazione di Jim Caviezel che il volto, la fisicità e l’intensità adeguate a supportare un ruolo di questo tipo. Caviezel funziona sia se inquadrato come poliziotto giustiziere tout-court sia se considerato “Salvatore dei figli di Dio” perché gioca efficacemente sul limite di un’interpretazione granitica, minimale eppure molto empatica. Insomma, l’attore de La Passione di Cristo era molto coinvolto, si nota, e ha trovato la cifra giusta per restituire il suo eroico Tim Ballard.

Insomma, Sound of Freedom – Il canto della libertà è il classico caso in cui il contesto produttivo e distributivo, nonché il fenomeno che si è venuto a creare a livello mediale, sono quasi più interessanti del film stesso, un film obiettivamente nella media ma dal racconto indubbiamente efficace. Se quest’opera avesse seguito l’iter distributivo con Fox che era stato inizialmente pensato forse non avrebbe avuto neanche lontanamente il successo che ha avuto e oggi probabilmente oggi non ricorderebbe nessuno. Questo si che è far di necessità virtù!

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Una bella storia raccontata con rigore.
  • L’interpretazione di Jim Caviezel.
  • Qualche ingenuità retorica/moralistica di troppo nello script.
  • Tutto quello su cui ha puntato la promozione ha sicuramente pagato in visibilità e popolarità ma ha anche messo in cattiva luce un film altrimenti innocuo.
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Valutazione: 6.5/10 (su un totale di 2 voti)
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Sound of Freedom - Il canto della libertà, la recensione, 6.5 out of 10 based on 2 ratings

One Response to Sound of Freedom – Il canto della libertà, la recensione

  1. Fabio ha detto:

    Direi che concordo su tutto, un buon thriller investigativo che viene esageratamente osannato da alcuni e ingiustamente odiato da altri. Caviezel, attore solitamente CANE , sta volta lo ammetto, fa un buon lavoro. Se non ci fossero state tutte ste becere polemiche il film avrebbe avuto la metà del successo che ha invece oggi.

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