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Il robot selvaggio, la recensione

Se fino a qualche anno fa c’erano solo la Pixar e Studio Ghibli a sperimentare in ambito di cinema d’animazione mainstream, costruendo opere stratificate alla portata di un pubblico ampio e variegato, oggi questa tendenza sta fortunatamente espandendosi a molte altre realtà produttive internazionali. Dagli immancabili Stati Uniti (si vedano i lungometraggi animati su Spider-Man, ma anche lo struggente Pinocchio di Guillermo Del Toro e, in parte, il secondo stand-alone su Il gatto con gli stivali), al Belgio con Flow – Un mondo da salvare, passando per la Spagna con Il mio amico robot. Anche l’Italia dà segni di sperimentazione nell’animazione (no, non parliamo di PAPMusic – Animation for fashion, ci dispiace Leikiè) con le opere di Alessandro Rak e la fusione tra documentario e animazione de Il segreto di Liberato, confermando che quello che un tempo era considerato “cinema per bambini” oggi viaggia perfettamente alla pari con altri stili di narrazione audiovisiva. Alla lista possiamo aggiungere anche Il robot selvaggio, graditissimo ritorno al cinema d’animazione da parte di Chris Sanders dopo la bella parentesi live action de Il richiamo della foresta, che si cimenta con una profonda favola ambientalista già destinata concorrere nella grande stagione dei premi cinematografici.  

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Valutazione: 7.5/10 (su un totale di 2 voti)
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Il richiamo della foresta, la recensione

La memoria è stata ingiusta con Jack London, perché tra i grandi scrittori statunitensi che hanno vissuto a cavallo del IXX e il XX secolo è oggi tra i meno celebrati, eppure Zanna Bianca e Il richiamo della foresta sono tra i più grandi capolavori della letteratura avventurosa. Però, curiosamente a distanza di pochi mesi e senza l’ausilio di alcuna ricorrenza, le più celebri opere di London sono tornate alla ribalta grazie al medium cinema con Zanna Bianca di Alexandre Espigares, Martin Eden di Pietro Marcello e Il richiamo della foresta di Chris Sanders.

A sorpresa, è proprio il film di Chris Sanders, tra i primi a marchio 20th Century Studios, a colpire per la riuscita generale e la fedeltà allo spirito originario dell’opera. Noto per il suo contributo al cinema d’animazione con Lilo & Stitch (2002), Dragon Trainer (2010) e I Croods (2013), Sanders rimane nei territori del cinema per famiglie con l’utilizzo della tecnica mista che unisce il live-action con l’animazione in CGI per la realizzazione di tutti gli animai del film, a cominciare da Buck il cane protagonista de Il richiamo della foresta.

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Valutazione: 8.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Dragon Trainer 2, la recensione

Il panorama statunitense legato al cinema d’animazione, quello che al botteghino conta su grandi numeri, è terreno di sfida di poche realtà cinematografiche. La Disney Pixar, ovviamente, la Blue Sky di L’Era Glaciale e Rio e la DreamWorks. Tralasciando volutamente realtà minori e ancora emergenti, anche se di grande qualità, come la Laika di ParaNorman e Coraline, o più parche nell’offrici prodotti, ad esempio la Sony di Piovono Polpette e Hotel Transylvania, ci possiamo concentrare sulla DreamWorks che forse è quella che si è posta con più tenacia in un’ipotetica sfida contro il colosso Disney.

Nata sotto l’egida di Steven Spielberg negli anni ’90, la DreamWorks si è specializzata in cinema d’animazione inanellando una serie di film affascinanti e atipici come Galline in fuga e Z la formica, finché è arrivato il grande successo con Shrek. Da quel momento, la DreamWorks ha scoperto il potenziale di un cinema d’animazione alternativo ma con una formula di successo e ai seguiti del film con l’orco verde si sono aggiunti altri prodotti trita-botteghino: Madagascar, Kung Fu Panda, Mostri contro alieni e Dragon Trainer.

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Valutazione: 8.0/10 (su un totale di 1 voto)
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